L'Eco di Basilicata

Continuo a non capire. Ci siamo (si sono, ovviamente) scandalizzati quando qualche fanciulla di belle speranze è stata colta in “fallo” tra le braccia di qualche rampante belloccio;quando qualche foto di troppo è finita sulla scrivania del solito fotoreporter senza scrupoli;quando i soliti volti televisivi si sono letteralmente impossessati della nostra vita (sempre della loro, ovviamente). E quando scandali vissuti tra sesso, coca e “persone molto importanti” hanno iniziato a fare il giro delle redazioni.

Scrivo con le lacrime agli occhi. L’Ansa ha appena battuto -9 luglio, ore 15.31- una di quelle notizie che mai avrei voluto leggere, che mai avrei voluto arrivasse sul mio portatile: Corso Bovio, uno dei più noti penalisti milanesi ed italiani è stato trovato morto nel suo Studio di Via Podgora 13, a Milano, nelle vicinanze del Palazzo di Giustizia. Pochi dubbi sul suicidio come causa della morte. Classe 1948, era l’ultimo discendente di una grande famiglia di avvocati e giuristi napoletani: fra i suoi antenati il filosofo Giovanni Bovio, suo bisnonno e Libero Bovio, suo nonno, poeta, giornalista ed editore, paroliere di immortali canzoni come “Reginella”.

Nell’estate del 1980, mio padre portò a casa una audio-cassetta registratagli da un suo collega di lavoro. Conteneva una lunghissima serie di canzoni, tutte legate una appresso all’altra, con strani effetti sonori: il pianto di un neonato, il volo a precipitare di un aereo, il rumore di un muro che veniva abbattuto. Ignoravo del tutto gli autori di quelle strane alchimie sonore, anche perché mi fermavo praticamente ad ascoltare soltanto quegli accattivanti effetti.

Sono passati 27 anni, eppure sembra ieri. Milano, 28 maggio 1980: Walter Tobagi, un giovane giornalista di origini umbre, inviato speciale ed articolista del “Corriere della Sera”, dal 1978 presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti e consigliere della Federazione Nazionale della Stampa -uno che stava distinguendosi per il rigore scientifico del suo approccio professionale e per l’attaccamento ad una professione che si era praticamente cucito addosso- sta recandosi a prendere l’auto nel garage a pochi metri dalla sua abitazione.

Sono passati 27 anni, eppure sembra ieri. Milano, 28 maggio 1980: Walter Tobagi, un giovane giornalista di origini umbre, inviato speciale ed articolista del “Corriere della Sera”, dal 1978 presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti e consigliere della Federazione Nazionale della Stampa -uno che stava distinguendosi per il rigore scientifico del suo approccio professionale e per l’attaccamento ad una professione che si era praticamente cucito addosso- sta recandosi a prendere l’auto nel garage a pochi metri dalla sua abitazione. Un commando di terroristi della Brigata XXVIII Marzo -un raggruppamento affiliato alle Brigate Rosse, che cerca di mettersi in evidenza con gesti plateali al fine di accedere nel livello più alto della lotta terroristica- lo attende in Via Salaino. Marco Barbone e Mario Marano erano i componenti del gruppo di fuoco: giovanissimi e per di più figli della Milano bene.

Ritorno nel giro di pochi giorni ad uno dei temi a me più cari: saranno l’imminente appuntamento elettorale e le continue sollecitazione che provengono dal personale impegno associativo ed accademico, ma reputo il tema della partecipazione politica come preliminare ad ogni tipo di ragionamento in materia. Cosa sia, chi partecipa e perché, come si partecipa, sono interrogativi da sempre al centro del dibattito scientifico che impegnano la scienza politica sin dalla sua affermazione tra le discipline di settore.

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