Nuovo Dizionario di Bioetica. Salvino Leone Salvatore Privitera (edd.)
Voce “PRIVACY” a cura di Egidio Lorito, pp. 908-913
Città Nuova Editrice, Roma febbraio 2004
Edizione dell’Istituto Siciliano di Bioetica, Acireale febbraio 2004
pp 1283, € 105,00 – ISBN 88-311-9281-7

IL CONCETTO DI PRIVACY

...la borghesia, in pratica, era alla spasmodica ricerca di un suo spazio, di una sua collocazione che servisse a creare un vero e proprio “diritto alla proprietà solitaria”.
Con il termine “privacy” ha avuto ingresso nel nostro ordinamento una problematica nel sistema . Il problema è ormai chiaramente definito: si parli di «privacy» o di «diritto alla riservatezza» poco cambia: quello che importa oggi analizzare non è il problema «di adeguare una nozione nata in altri tempi e sotto altri cieli […] quanto il fatto che in esso non si riflette soltanto il classico tema della difesa della sfera privata contro le invasioni dall’esterno, ma si realizza un importante cambiamento qualitativo, che spinge a considerare i problemi della privacy piuttosto nel quadro dell’attuale organizzazione del potere, di cui appunto l’infrastruttura informativa rappresenta ormai una delle componenti fondamentali»(Rodotà).

Nell’attuale dibattito apertosi in Italia solo a partire dalla legge 675/96, vi è un aspetto fondamentale che forse è sfuggito ai più, è cioè che «si pone sempre più debolmente l’accento su definizioni della privacy come “diritto ad essere lasciato solo” , a tutto vantaggio di definizioni il cui centro di gravità è rappresentato dalla possibilità di ciascuno di controllare l’uso delle informazioni che lo riguardano»(Rodotà). In pratica, nelle definizioni tradizionali si tendeva ad esaltare soprattutto la componente singola, individuale, mentre le ultime provocazioni dottrinarie reclamano l’attenzione sulla capacità che le singole persone o addirittura gruppi di potere, possano controllare e manipolare complessi informativi, potendo anche agire per formare diversi equilibri sociali e politici.
Oggi il quadro complessivo non è più statico come vent’anni fa: non ci è più consentito analizzare la questione sottolineando i soliti schemi della “riservatezza” e della “divulgazione” che fanno da contorno ad una visione individualistica del problema che mal si concilia con la presente idea tipicamente globalizzante: «proprio seguendo questa strada, ci si è accorti dell’inadeguatezza delle tradizionali impostazioni giuridico-istituzionali rispetto ai nuovi problemi aperti dalla realtà degli attuali sistemi informativi»(Rodotà). Così, partendo da quest’ordine di idee, è stata fatta notare l’importanza di rivisitare l’ambiente socio-economico entro cui, nel corso dei secoli, si sono sviluppate le particolari condizioni che hanno permesso il proliferare degli elementi costitutivi il diritto alla privacy: vi è stato chi, a metà degli anni ’50, ha sottolineato come un fondamentale aspetto del dibattito sia legato al c.d. «senso di intimità: questo infatti significava la possibilità di appartarsi a volontà dalla vita e dalle occupazioni in comune coi propri associati, […] come fine delle reciproche relazioni sociali fra i ranghi superiori e quelli inferiori del regime feudale […]»(Munford).

 

In questo senso le origini del concetto di privacy possono farsi risalire già alla fase feudale della storia dell’uomo, precisamente al periodo del suo disgregarsi, quando «gli individui erano tutti legati da una complessa serie di relazioni che si riflettevano nell’organizzazione stessa della loro vita quotidiana […]»(Rodotà). Dunque, a motivazioni socio-economiche facciamo risalire quel bisogno di intimità, visto come strumento per un’articolata operazione tramite cui la classe borghese iniziava a riconoscere sé stessa entro il sistema sociale, soprattutto inglese; la borghesia, in pratica, era alla spasmodica ricerca di un suo spazio, di una sua collocazione che servisse a creare un vero e proprio “diritto alla proprietà solitaria”. Le successive vicende segnano un continuo sviluppo del concetto originario, con il delinearsi di due tendenze: da un lato si ridefinisce il concetto stesso con l’attribuzione di uno spazio maggiore al potere di controllo; mentre dall’altro «si amplia l’oggetto del diritto alla riservatezza, per effetto dell’arricchirsi della nozione tecnica di sfera privata, che comprende un numero sempre crescente di situazioni giuridicamente rilevanti»(Rodotà).

 

Ciò, di conseguenza, ha condotto il legislatore a considerare e normare un’ampia fascia di situazioni soggettive degne di tutela, alimentate dal fatto che “persona”, “personale” e “personalità” sono oggi elementi del nuovo dibattito in materia. Addirittura accanto alla tradizionale sequenza già evidenziata “persona-informazione-segretezza”, se ne è aggiunta un’altra quantitativamente più rappresentativa, “persona-informazione-circolazione- controllo”: così appare innovativa l’idea che «il titolare del diritto alla privacy può esigere forme di “circolazione controllata”, piuttosto che interrompere il flusso delle informazioni che lo riguardano»(Rodotà).

 

Tale dinamica ha fatto si che il concetto di “privacy” si sia evoluto in modo rapido e sistematico, passando agilmente da diritto per il singolo individuo a diritto della collettività, inglobando nella sua tutela interessi diffusi di una data realtà sociale e politica. Né si vuole esagerare quando, parlando della c.d. information technology, sembra essere proiettati verso un futuro ormai non più lontano, dove si impone una scelta strategica che «deve piuttosto trovare il suo punto d’avvio nella constatazione del fatto che, oggi, la vera utopia è quella di chi ritiene che sia possibile sradicare l’infrastruttura informativa delle nostre organizzazioni sociali […]»(Rodotà). Solo da questo versante proiettandoci nella «società dell’informazione», possiamo cogliere il senso del cambiamento del significato di privacy: non più semplice “diritto di essere lasciato solo” quanto piuttosto «diritto di mantenere il controllo sulle proprie informazioni»(Rodotà).

 

Parallelamente abbiamo assistito all’ampliamento della stessa nozione di “sfera privata” che appare sempre più definibile come quell’insieme di azioni, opinioni, informazioni caratterizzate dal fatto di essere mantenute sotto un personale ed esclusivo controllo. Ecco allora, mutatis mutandis, che tale termine appare come la «tutela delle scelte di vita contro ogni forma di controllo pubblico e di stigmatizzazione sociale»(Friedman); ciò che insomma caratterizza il diritto alla privacy è, com’è stato finemente osservato, la «libertà delle scelte esistenziali»(Rigaux). Da questa prospettiva, insomma, occorrerà guardare al diritto di cui stiamo parlando, ben consapevoli del cambio epocale di cui siamo spettatori; tutto ciò è anche il risultato «del modo in cui l’intera tecnologia delle comunicazioni contribuisce a “costruire” la sfera privata, facendo diminuire la necessità di molti consolidati e quotidiani contatti sociali: il singolo individuo viene così sottratto alle diverse forme di controllo sociale rese possibili proprio dallo “agire in pubblico” in una comunità»(Rodotà). Sembrerà strano ma «queste tecnologie servono anche a mettere l’individuo al riparo da quelle forme di controllo sociale che in passato erano servite a vigilare sui suoi comportamenti e ad esercitare pressioni per l’adozione di atteggiamenti di tipo conformista»(Katz).

 

A questo punto è chiaro il risultato dell’odierna evoluzione: si parla di privacy proprio perché lo impone lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa i quali, sviluppatisi in tecnologie sempre più sofisticate, riescono ad esercitare una pressione invasiva tale da mettere in pericolo quella naturale riservatezza, tipica di ogni singola esperienza di vita; infatti «il livello più elementare che è possibile concepire in riferimento al concetto di privacy è rappresentato dalla situazione dell’individuo che rivendica il diritto a non subire arbitrarie interferenze, sotto forma di condizionamenti, nella sfera in cui è solo con sé stesso»(De Giacomo). Si tratterebbe, in quest’ultimo caso, di una sorta di strategia messa a punto per proteggersi dalla presunta pericolosità dell’universo mass-mediatico, di cui spesso siamo vittime inconsapevoli.

 

Considerando che il concetto di privacy può essere analizzato su diversi piani, ad esempio si parla di diritto alla riservatezza nella sfera dell’intimità, della propria vita sessuale, «dove peraltro i problemi si complicano, collocandosi su di un piano tipicamente relazionale, come può essere quello familiare, dove una pluralità di persone viene coinvolta dalla propria appartenenza al gruppo, nel medesimo interesse alla conservazione dell’immunità di questo spazio comune»(De Giacomo). Spazio, questo, che rappresenta l’ambito entro cui si realizza la prima “inalienabile” forma di espressione del proprio essere! A tal proposito, nella seconda metà degli anni ’60, la Corte Suprema americana, in tema di liceità sull’uso della contraccezione, elaborò alcune illuminanti sentenze che per la loro portata storica, vennero ad inaugurare la c. d. “privacy of bedroom”: ad esempio si ricorda il principio affermato in un caso del ’65 (Grinsworld/Connecticut), dove il diritto a fare uso di sistemi di contraccezione «veniva riconosciuto alla persona in quanto tale, a prescindere che esso si svolgesse nell’ambito di una relazione familiare o meno»(De Giacomo). Ciò riguarda il livello intimo e personale del tema che stiamo affrontando, ma se poi ci spostiamo verso una dimensione pubblica, «il discorso sulla privacy mostra in maniera chiara l’altro volto di sé, quello ispirato cioè alla tutela delle manifestazioni che riguardano l’individuo in uno spazio che non è più squisitamente privato, ma appunto pubblico»(De Giacomo). Di conseguenza, cambiando l’ambito spaziale dell’agire umano, cambierà il tipo di tutela da approntare: cambierà, in sintesi, l’originale concetto giuridico della privacy, «sempre meno orientato sulla delimitazione di uno spazio dal quale rivendicare il diritto “to be let alone”, e sempre più sensibile verso la pluralità di esigenze avvertite come imprescindibili per la persona, rispetto agli sviluppi delle tecnologie informatiche […]».(De Giacomo).

 

Questi recenti sviluppi tecnologici, come sappiamo, si basano sul controllo del complesso flusso che governa la circolazione dei c.d. dati personali, che oggi rappresentano l’ultima frontiera della tutela della privacy, vista l’immensa mole di dati in circolazione su ogni tipo di mezzo di comunicazione. Da quest’ultimo versante, il costante richiamarsi alla “tutela della privacy”, «non è solo l’effetto delle preoccupazioni determinate dalle molteplici applicazioni delle tecnologie dell’informazione: è pure il risultato del modo in cui l’intera tecnologia delle informazioni contribuisce a “costruire” la sfera privata […]»(Rodotà). Non è allora azzardato affermare che «il mondo contemporaneo è caratterizzato da una produzione, circolazione e consumo di informazioni che per quantità, varietà e rapidità, non trovano confronti con la situazione delle età precedenti»(Frosini). Questa crescita esponenziale delle informazioni è oggi il punto centrale di ogni dibattito sulla libertà d’informazione, tanto che lo stesso “diritto dell’informazione” appare sotto una duplice veste: è il personale diritto ad essere informato su fatti e accadimenti di interesse proprio, ma è, soprattutto, «il diritto, attribuito in particolare ai giornalisti, fotoreporters, operatori televisivi, di informare lettori e spettatori degli avvenimenti»(Frosini). Se solo poniamo mente al fatto che durante i lavori della “Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa” -conclusasi con il celebre “Atto Finale di Helsinki” del 1° agosto 1975- il diritto all’informazione è stato riconosciuto fra i “diritti umani”, possiamo renderci effettivamente conto della storica importanza di questo particolare diritto, la cui espansione ed i cui limiti sono oggi oggetto di serrate discussioni.

 

Non sorprende più che il periodo storico nel quale stiamo agendo sia stato definito come la “società dell’informazione”(Lyon), «come carattere dominante della nostra convivenza civile nelle società industriali avanzate […]».(Frosini). La società è profondamente mutata: «le tecnologie della informazione sembrano così confermare e rafforzare una tendenza che, in passato, era stata caratterizzata proprio dalla stretta associazione tra nascita della sfera privata e possibilità di sottrarsi a forme di controllo sociale»(Rodotà). Da un lato il singolo individuo aumenta la possibilità di rinchiudersi in una c.d. “fortezza elettronica”, aumentando così la sensazione di essere soggetto autosufficiente; ma dall’altro vede crescere la separazione dagli altri consociati. In pratica, si sviluppa una sfera privata più articolata ma al contempo sempre più insidiata: da ciò il necessario aumento dei sistemi di difesa personale, «la necessità di un continuo arricchimento della protezione giuridica, di un allargamento delle frontiere del diritto alla privacy»(Rodotà). Questa particolare situazione genera il c.d. “primo paradosso della privacy” , secondo cui la tecnologia contribuisce a far nascere una sfera privata. Da un altro lato il “secondo paradosso della privacy” -che si manifesta nello sviluppo della legislazione delle banche dati- fa sì che quando si attribuiscono dati di natura personale alle categorie delle “informazioni sensibili”, al contempo «si attribuisce un fortissimo statuto privato a quei dati, che si manifesta soprattutto nel divieto di raccolta da parte di determinati soggetti (es. datori di lavoro), e nella esclusione della legittimità di talune forme di raccolta o di circolazione»(Rodotà).

 

Infine, anche il “terzo paradosso della privacy” -nascita della legislazione su banche dati e parallelo svilupparsi della normativa che permette l’accesso ad informazioni pubbliche, non necessariamente personali- ha fatto sì che «il rafforzamento del diritto individuale alla privacy si converta così in uno strumento per rendere più trasparenti le sfere di altri soggetti»(Rodotà). Una prima conclusione può essere sottolineata: non viviamo più all’interno di un castello feudale dove la ricerca di uno stato di riservatezza e di intimità era l’obiettivo degli stessi abitanti; oggi le nostre vite private sono -potrà sembrare strano- oggetto di continue pressioni invasive, che mettono a dura prova non solo il diritto di cui stiamo discutendo, ma forse il complesso apparato normativo che ci caratterizza.

 

Proprio per ovviare a tali pericoli, occorre sottolineare che «la ridefinizione complessiva dell’ampiezza della sfera privata, delle sue modalità di costruzione e di tutela, non conferma soltanto la necessità di collocare la privacy tra i diritti fondamentali […]», in quanto a questa operazione deve inevitabilmente legarsi «il riconoscimento e il consolidamento di altri diritti della personalità, come quello all’identità personale […]»(Rodotà).

 

Oggi il problema è uno solo: vivere esigendo il rispetto alla nostra privacy all’interno di una “società aperta”; nella celebre espressione di Popper noi troviamo collocati tutti gli svantaggi ed i benefici della discussione oggetto di queste riflessioni: «la società aperta o liberaldemocratica, è interamente affidata -prima ancora che ai pesi e contrappesi con cui limita e fraziona il potere […]- alle proprie ragioni ideali e alla propria capacità di farle trionfare attraverso la discussione e il confronto più liberi e più larghi»(Bedeschi). “Discussione” e “confronto” rappresentano i legami che la società aperta ha con il diritto alla privacy, che è –complessivamente- quello della libertà di manifestazione del pensiero che rimane, nell’universo del pensiero liberale, uno dei principi capisaldi.

 

La discussione, il confronto con l’altro, l’ascolto convinto delle tesi opposte alla nostra, portano alla conclusione che il fondamento della società aperta «è, quindi, connesso con l’idea che il nostro simile ha il diritto di essere ascoltato e di difendere le proprie tesi. Esso così implica l’accettazione del principio della tolleranza, almeno nei confronti di tutti coloro che sono intolleranti […]»(Popper). Ci troviamo innanzi, con quest’ultimo passaggio, ad uno dei momenti più cari a coloro che sostengono il pensiero “liberal”, del quale Popper è stato -unitamente a Von Hayek- uno dei massimi esponenti contemporanei; l’idea di “società aperta” vive in quel particolare legame che il filosofo creò tra il c.d. “razionalismo critico” proprio di ogni individuo e la struttura politico-istituzionale della società aperta stessa.

 

In questo legame tra il singolo e la collettività, «il razionalismo risulta connesso con il riconoscimento della necessità di istituzioni sociali atte a proteggere la libertà di critica, la libertà di pensiero e la libertà degli uomini»(Popper). Senza dilungarci troppo, basterà ricordare come Popper auspicasse che «l’intervento dello Stato deve essere limitato a quanto è veramente necessario per la protezione della libertà»: in modo che «la discussione e il confronto fra posizioni e soluzioni diverse -dalla stampa alla libertà di pensiero- sono fondamentali e costitutivi della “società aperta”»(Bedeschi). Si è dunque giustamente parlato di “società aperta”, visto che da molti punti di vista pare che l’odierna realtà sociale si basi proprio su aspetti tipici del pensiero liberale, in modo da rendere “aperto” il dialogo e la vita delle nostre società occidentali: è aperta come lo sono le nostre vite, ormai ampiamente proiettate verso forme di globalizzazione che le rendono sempre più trasparenti agli occhi degli agenti esterni. E proprio perché si è giunti ad un tale grado di sviluppo della società, «nella presente situazione storica del progresso civile, occorre che l’ordinamento giuridico provveda a fornire al giurista, e in genere al cittadino, una visione il più possibile precisa e chiara dei suoi diritti e dei suoi doveri nella città in cui opera e vive»(Frosini). Operazione indubbiamente affascinante ma chiaramente difficile, proprio per la continua metamorfosi sociale cui assistiamo, con la conseguente difficoltà -per lo stesso ordinamento giuridico- ad adeguarci normativamente al cambiamento stesso. Anche nel nostro particolare versante, non possiamo accettare l’idea che «il diritto dell’informazione va dunque inteso come il diritto della società dell’informazione, come quello Jus che deve reggere e rendere trasparente nelle sue regole la socìetas»(Frosini), utilizzando i termini storici di quella formula che tanto peso ha nella nostra tradizione giuridica. Ecco il nostro punto d’arrivo, la società dell’informazione: un universo variegato, costantemente in evoluzione, che ha conseguentemente condotto il giurista alla «ridefinizione complessiva dell’ampiezza della sfera privata, delle sue modalità di costruzione e di tutela», con conseguente «necessità di collocare la privacy tra i diritti fondamentali, contribuendo a definire la posizione dell’individuo nella società»(Rodotà). Individuo e società: un contenitore -quest’ultima- che per la sua continua evoluzione, offre le giuste coordinate per un analisi sempre più articolata dei fenomeni che in essa avvengono. Con tale impostazione siamo sostanzialmente diretti nella prospettiva di «collocare il diritto alla privacy tra gli strumenti di tutela della personalità, sganciandolo da un’ impostazione che lo leghi piuttosto al diritto di proprietà»(Poullet).

 

Egidio Lorito, 2004

 

Bibliografia di riferimento
1) Rodotà S., Repertorio di fine secolo, Laterza, Roma 1992;
2) Rodotà S., Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1994;
3) Rodotà S., Elaboratori elettronici e controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973;
4) Rodotà S., La fine della privacy: mille maschere, nessuna identità, in Ideazione n. 4/2000;
5) Rodotà S., Persona, riservatezza, identità, in Riv. Critica di Diritto Privato, n.4/97;
Popper K., La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma 1973;
Mumford L., La cultura delle città, Milano, 1953;
Friedmann L. M., The republic of choice. Law. authority and culture, Cambridge, 1990;
Rigaux F., La protection de la vie privé et des autres de la personalitè, Paris, 1990;
Katz J.M., Public policy origins of telecommunications privacy and the emerging issues, in Information Age, n. 10/98;
De Giacomo C., Diritto, libertà e privacy nel mondo della comunicazione globale, Giuffrè, Milano 1999;
Frosini V., Contributi ad un diritto dell’informazione, Liguori Napoli, 1991;
Lyon D., La società dell’informazione, Il Mulino, Bologna 1991;
Bedeschi G., Storia del pensiero liberale, Laterza, Roma-Bari 1990;
Poullet Y., Le foundament de la protection des donnèes dominatives, Montreal 1991.

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