La Provincia Cosentina - Cosenza

A tu per tu con...

“Ho accettato con entusiasmo l’invito degli amici pugliesi a ripubblicare in un unico volume i miei scritti su Sturzo, De Gasperi e Moro, cioè sui tre grandi protagonisti del popolarismo italiano, per due ragioni essenziali: innanzitutto, perchè con la scomparsa, da oltre dieci anni, della Democrazia Cristiana -cioè del partito che ha cercato, seppur con alterna fortuna, di interpretare i valori del popolarismo- v’è il rischio che questi ultimi vengano dispersi oppure utilizzati solo episodicamente nonostante la loro viva e sorprendente attualità.

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“(…) Paolo aveva lasciato la sua Crotone per studiare giurisprudenza a Roma dove poi, morta la madre, aveva deciso di rimanere, lavorando come procuratore presso lo Studio Foggia, il cui titolare, l’avvocato Marini, era un conterraneo e grande amico di suo padre Venanzio, detto Venzy. Anche se il lavoro lo impegnava moltissimo, Paolo, appena gli era possibile, cercava rifugio nella vita di campagna, andando a trovare il padre che gestiva un piccolo agriturismo vicino a Crotone (…)”. Qualche giorno fa, una gradita sorpresa ha arricchito la mia biblioteca, con tanto di dedica autografa: sapevo che prima o poi mi avrebbe spedito il suo ultimo romanzo -l’intercessione del buon Enzo D’Elia è una sorta di passaporto internazionale- ma non potevo certo immaginare, a pagina 75, di imbattermi in questa bella citazione di Crotone che arricchisce il suo recente “Chiudi gli occhi” (Cairo Editore-Rai Eri, 2007).

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Marco Roncalli è l’addetto-stampa dell’Editrice La Scuola di Brescia: la storica sede di Via Cadorna -che abbiamo già ospitato grazie alla conversazione con il pedagogista Luciano Corradini- ha risposto alla mia richiesta di dialogare con autori di recente pubblicazione. Conosco personalmente la precisione e l’impegno professionale della terra lombarda, figuriamoci se una casa editrice di questo spessore non risponde almeno al mio cortese invito per una proposta di intervista: “le invio i riferimenti dello psicoterapeuta Domenico Barrilà: con “C’è una logica nei bambini” appena dato alle stampe, ha permesso il ritorno della psicologia di servizio.

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“Non potrei indicare la data del giorno in cui vidi per la prima volta la neve. Ma il momento si. Ero bambino, all’asilo di Lavis, forse avevo quattro anni. Quel mattino le nubi erano alte nel cielo, vedevo solo nubi, le rocce della Paganella e gli alberi del giardino, poi le nuvole si abbassarono a toglierci ogni visione. Improvvisamente un’onda plumbea parve attraversare la valle come un segno di immensa potenza, ebbi paura, tutti eravamo impauriti, forse anche le suore che presero a correre in mezzo a noi bambini, gridandoci di stare fermi. Dopo alcuni minuti il vento si placò e nell’aria vedemmo dondolare foglioline bianche: la neve!

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“Sono un orfano, un povero orfano di padre e di madre: è la prima cosa certa che so della mia vita, ma non me la prendo. Voglio dire, all’inizio sarà stata dura, solo quasi non me lo ricordo più, l’inizio. Devo aver pianto molto -com’è naturale- tipo: hai quattranni e te ne stai sempre attaccato alla mamma e ad un certo punto lei, tua madre, parte e tutti -le zie, gli zii, presumo- ti ripetono che è partita ma poi torna, che non è il caso di disperarti: invece, lei, mia madre non torna”. Maratea, 18 agosto 2004: “l’autore che ho il piacere di presentare questa sera è un grande scrittore che ci regala la lettura di un romanzo totale, esilarante avventuroso, dove si vedono maturare e apparire amori, scintillare e decadere miti giovanili di due decenni”.

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“Nel licenziare alla stampa il mio “Ritratto di Calabria. Uomini, evi ed eventi” (Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2001), ritenni di dedicare il mio lavoro, in particolare, ai giovani di Calabria, nell’auspicio che la memoria del passato e la lezione del presente suscitassero nei loro spiriti una nuova inquietudine, per una salutare provocazione o -meglio ancora- per una responsabile sfida (…)”. L’appuntamento di questa settimana, ha per me, un significato molto particolare: con quelle parole, Francesco Sisinni apriva la Prefazione al mio “Tracce di Calabria” (Il Coscile, 2005) e non era un caso se gli avevo chiesto di curarmi l’incipit a quella raccolta di articoli che cercavano di sondare il senso di una terra, di una storia, di una tradizione, di un paesaggio.

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