Apollinea - Castrovillari (CS)

Alto Tirreno Cosentino: il confine calabro-lucano di Castrocucco dista solo poche centinaia di metri. Siamo al centro esatto dell’antico territorio del Merkurion, una vasta area che abbraccia la Calabria settentrionale e la bassa Lucania. “Qui, intorno all’anno Mille, era il Mercurio: l’Eparchia di o del Merkurion ebbe come riferimento il castello di Mercurio e si estese lungo la valle del fiume Lao fino a Scalea, sbocco principale sul Tirreno, confinando con le Eparchie di Aieta e del Latiniano. Quasi certamente nell’ XI° secolo il Merkurion si estendeva fino al Noce a nord ed al Monte Corvino a sud: in quel periodo già forse inglobava la contermine Eparchia di Aieta”. Nella rivisitazione storica di Giovanni Celico si possono cogliere i temi portanti della lunga vita che da queste parti scorre interrottamente dalla notte dei tempi: ci troviamo nella piccola ma fertile pianura del fiume Noce che lambisce l’abitato di Tortora, il primo comune della costa tirrenica calabrese, e qui la Storia fa ancora parlare di sé.

Non è difficile individuare il luogo sulla carta geografica: basta una semplice triangolazione che ferma i propri vertici tra Capo Palinuro ad ovest, i monti del Pollino ad est, e quel Passo dello Scalone che chiude a sud il gruppo dell’Orsomarso per aprire -a sua volta- la strada alla Catena Costiera. Questo è il luogo dove Campania, Basilicata -o forse, sarebbe più corretto dire Lucania, come piaceva agli antichi- e Calabria giocano ad inseguirsi: perché la Calabria inizia dove finisce la Basilicata, poco più a sud di questo luogo in cui i confini della Campania danno il via a quelli lucani, a loro volta seguiti da quelli calabresi. Il luogo è tutto all’interno di quel Golfo di Policastro, gioiello naturalistico-ambientale che vede precipitare dentro di sé le coste, ora sabbiose ora rocciose, di ben tre Regioni.

Tra il confine calabro -lucano -rappresentato dagli ultimi chilometri di percorso del fiume Noce, condiviso tra i territori di Maratea e Tortora- e la foce del fiume Lao, corrono circa venti chilometri di costa, la cui particolarità non è legata esclusivamente all’ambiente marino, ma al fatto di rappresentare il naturale sbocco sul mar Tirreno della parte nord -occidentale del territorio del Parco Nazionale del Pollino: si tratta di un paesaggio dominato dall’imprescindibile binomio mare -monti, uno dei più complessi ed articolati eco-sistemi non solo della penisola calabrese, ma sicuramente anche di quella italiana. Una linea di costa non uniforme: pianeggiante nei territori di Tortora e Praia a Mare, per trasformarsi in alta piattaforma pensile -caratterizzata da strapiombanti pareti a mare - nel territorio di S. Nicola Arcella e nella prima parte di quello di Scalea, per continuare -ancora pianeggiante- nella vasta e produttiva foce del Lao, sino all’estremo limite di Punta Cirella.

Paesaggio calabrese e tradizione locale si fondono spesso per creare un’interazione uomo-ambiente. All’interno del Parco Nazionale del Pollino, questa singolare prospettiva diviene protagonista di uno dei principali riti della Settimana Santa, ancor oggi capace di attirare migliaia di visitatori e credenti per assistere partecipi alla rivisitazione della passione, morte e resurrezione del Cristo. Conosciamo già Laino Borgo, locus di questa toccante rappresentazione: il singolare centro del versante calabrese del Pollino, posto sulle rive del fiume Lao, tra colline verdeggianti e balzi d’acqua -da tempo, ormai, meta privilegiata di rafters e canoisti di tutt’Italia, vanta origini che tradizionalmente si fanno risalire ai primi del VI secolo a.C.

Il Parco Nazionale del Pollino, nel suo estremo versante nord-occidentale, va praticamente a tuffarsi nelle cristalline acque del Golfo di Policastro, interessando i comuni di Praia a Mare e Tortora: un mix di esaltante bellezza dove il connubio mare-monti dà vita ad un riuscitissimo incontro tra due realtà ambientali che trovano pochi eguali in altre parti d’Italia. I primi rilievi del Pollino formano, così, affascinanti terrazze sul mare, da cui è possibile gustare appieno della bellezza dei luoghi oggetto di questo itinerario: (…) l’Isola di Dino, più che per i ricordi storici, è interessante per le bellezze delle sue innumerevoli grotte marine, in molte delle quali, per l’angustia e la difficoltà dell’entrata e per lo sviluppo contorto e profondo, si racchiude ancora il mistero (…)”.

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