L'Eco di Basilicata

Le “edificanti” immagini e tutto il successivo bailamme mediatico che hanno aperto il 2010 in una ben definita e già tristemente area della sempre tormentata Calabria, hanno riportato a galla non solo consolidate tensioni che da tempo covano in un’Italia sempre più multi-etnica, ma -soprattutto- hanno fatto riemergere un vespaio di problematiche tutte tipicamente calabresi.

Ci sono articoli che mai vorrei “scrivere”. E’ come se non avessi proprio voglia di digitare la testiera del computer, come se in quel momento questa fedele compagna di vita professionale proprio non la volessi neanche sfiorare. Sarà anche perché con Josè avevo “scritto” di cultura, di natura, di libri, di passioni comuni che avevo condiviso sin dal momento della nostra conoscenza.

Un’immagine non potrà essere dimenticata in questo 2009 appena concluso che potrebbe anche accompagnarci nel corso di questo nuovo anno. S’impone una riflessione seria, anche dalle pagine di un foglio d’informazione locale, perché -fuor di metafora- è Italia anche questa parte di Basilicata, Calabria e Campania da cui provengono queste pagine e da cui anche i nostri lettori seguono le vicende italiane. Ebbene, l’immagine è quella di una radicalizzazione dello scontro politico, di un’estrema personalizzazione della contrapposizione di schieramenti ed uomini che rischia di portare al naufragio.

Saranno state le vicende politiche di questi ultimi mesi, con il terribile “effetto tritacarne” che ha letteralmente catalizzato l’attenzione di un pubblico sempre più attratto da storie morbose a sfondo erotico; sarà stata la generale decadenza di molti temi della vita pubblica, ridotti a questioni che un tempo avrebbero trovato ospitalità solo in determinate pubblicazioni di settore; sarà che sembra prevalere il gusto malsano di sbattere letteralmente tutto in prima pagina per il solo scopo di fare audience. Sarà per tutto questo ma anche per molto altro ancora, ma ritengo sinceramente che -a questo punto- una seria riflessione si imponga.

Spero vivamente che questa mia ulteriore “pillola riflessiva” sia letta, riflettuta ed elaborata soprattutto da chi ha responsabilità pubbliche e politico-amministrative. E, perché no, anche da chi dovesse sentirsi in un certo senso “attaccato” o “additato” da osservazioni che vado elaborando da tempo, anche in consessi ben distanti dalla terra dove questo foglio svolge la sua preziosa funzione informativa e formativa. Credo sia finalmente arrivato il tempo che le tante “intelligenze” che calpestano il suolo di quest’area calabro-lucana inizino a prendere coscienza del tema, sviluppando l’inevitabile dibattito.

Quando le uccisero il padre, Benedetta aveva tre anni. Troppo pochi per ricordarlo. Quando le strapparono uno degli affetti più profondi di un’esistenza, quella bambina sapeva appena parlare ma non sapeva ancora scrivere: l’immaginario di una vita a quell’età è sintonizzato su frequenze lontane mille miglia da complotti reazionari, disegni eversivi, gruppi terroristici, azioni di brigatisti, sangue, corpi inanimati.

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