Attività Giornalistica

Quando le uccisero il padre, Benedetta aveva tre anni. Troppo pochi per ricordarlo. Quando le strapparono uno degli affetti più profondi di un’esistenza, quella bambina sapeva appena parlare ma non sapeva ancora scrivere: l’immaginario di una vita a quell’età è sintonizzato su frequenze lontane mille miglia da complotti reazionari, disegni eversivi, gruppi terroristici, azioni di brigatisti, sangue, corpi inanimati.

Poche regioni d’Europa, come purtroppo la Calabria, hanno visto mettere in serio pericolo nel giro di pochi decenni i cardini portanti del moderno Stato di Diritto. Sarà per la diffusa illegalità che sembra non arretrare di un metro neanche innanzi ai poteri coercitivi dello Stato;sarà per l’atavica non ricchezza economica che connota questa terra, nella quale -è bene sottolinearlo- sembra però non mancare proprio nulla! E sarà anche per una sorta di drammatica rassegnazione, ma se oggi proviamo a guardare la Calabria attraverso le lenti del principio di legalità, ci accorgiamo da quante emergenze sia connotata la vita democratica e civile della pur sempre affascinante penisola calabrese. Regione d’Europa che -a dir il vero- ha incantato e continua a farlo intere generazioni di visitatori, per come mi è capitato di sottolineare in diversi scritti come in pubblici interventi: ma questa è un’altra storia, purtroppo.

Mondadori, 2008, pp. 200, €. 17.50

“E’ bello morire per ciò in cui si crede;chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Cosa dire: affascinante e profondo l’incipit di questo libro di Giuseppe Ayala -estratto da un’espressione di Paolo Borsellino- magistrato siciliano che ha fatto parte, per tutta l’attività, del Pool Antimafia di Palermo sino a rappresentare l’accusa durante i quasi due anni di maxi processo. Dal 1992 al 2006 ha ricoperto incarichi parlamentari come deputato e senatore nel corso di quattro legislature sino ad essere Sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2000. Già, la Giustizia… “(…)

Sperling&Kupfer2009, pp. 298, € 18.00

“Finchè la mafia esiste bisogna parlarne, discuterne, reagire. Il silenzio è l’ossigeno grazie al quale i sistemi criminali si riorganizzano e la pericolosissima simbiosi di mafia, economia e potere si rafforza. I silenzi di oggi siamo destinati a pagarli duramente domani, con una mafia sempre più forte, con i cittadini sempre meno liberi”. Con questa dichiarazione d’intenti, Pietro Grasso, Procuratore Nazionale Antimafia dall’ottobre del 2005, getta le basi per la sua personalissima ricetta -un vero percorso- finalizzata non solo alla sopravvivenza fisica a questa sorta di cancro sociale, ma anche alla sua augurabile sconfitta che l’autorevole magistrato pone come imperativo categorico per tutti coloro che non vogliono soccombere sotto i suoi colpi.

La foto di copertina è emblematica. Un mappamondo, puntato sull’enorme continente africano, si guadagna la centralità della scena. Su quell’antico strumento geografico poggia la mano destra una signora di 100 anni e mezzo, il cui viso svetta altèro nella parte alta dell’immagine. “E’ indubbio che la consapevolezza dei torti e delle ingiustizie sofferte da innumerevoli generazioni di donne, oggi come in passato in gran parte dei paesi del mondo, è stata ed è una molla molto efficace per stimolarle alla ricerca della propria identità e a ottenere quanto è stato loro negato, ma considero erronea la tendenza, quanto mai improduttiva, a un continuo confronto sul piano intellettuale con l’altro sesso. La donna è stata asservita all’uomo a causa della sua debolezza fisica, non certo per libera scelta. Una schiavitù imposta, tanto è vero che, laddove le condizioni storiche sono mutate, le donne si sono ribellate. Ritengo che la tendenza al conformismo per ragioni sociali e politiche sia più sviluppata negli uomini che nelle donne. Escluse dal potere, sono più libere nel giudizio e pronte a ribellarsi”.

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