Anno 2006: Aa.vv. (a cura di Luciano Corradini), Pedagogia e cultura per educare. Saggi in onore di Giuseppe Serio, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2006.

Citazione a pagina 7:"

PRESENTAZIONE: il libro e l'uomo
    Coloro che sono stati più volte "convocati" dal professore Serio, come relatori nei convegni promossi dalla Fondazione da lui presieduta, come autori dei saggi e degli articoli pubblicati nella collana da lui diretta presso l'Editore Pellegrini, e nella sua rivista, che s'intitola Qualeducazione, per un dialogo libero in Europa, hanno deciso di "auto-convocarsi" e di offrire di loro iniziativa a "Peppino" un libro, in segno di gratitudine e di stima profonda per la sua vita trascorsa a servizio dell'educazione.

Chiariamo subito però che non vuole essere, questo libro, una specie di "Oscar alla carriera", deciso da una giuria di accademici, assaliti dal complesso di colpa per non avere a suo tempo dato meritati riconoscimenti a un grande artista. Se così fosse, nel sorriso di gioia di Peppino spunterebbe ben presto un velo di mestizia. Gli Oscar celebrati del mondo della celluloide sono statuette impersonali dal volto stereotipato, destinate a fare mostra di sé sugli scaffali di una biblioteca o fra i cimeli di una vetrina. Indicano la conclusione di un percorso, piuttosto che la strada che resta ancora da percorrere.
Il nostro libro intende invece essere un ulteriore "contributo" a riflettere, a informarsi, a progettare, a mettere in circolazione idee. È una pietruzza che si colloca nella collana editoriale da lui diretta, per darle nuova visibilità e per aumentare il numero dei lettori e degli interlocutori con i quali la Fondazione ha intessuto nello scorso quarto di secola un dialogo fruttuoso. Aspira a circolare in molte copie e a restare a lungo sui tavoli e sulle scrivanie, prima di trovare spazio nelle biblioteche.
Vorrebbe insomma accreditarsi per quello che dice e per la prospettiva di valore che assume, e non solo per l'affetto che lo alimenta. E l'onore che intende decretare a Giuseppe Serio non è un fattore distraente o esornativo, ma costituisce un valore aggiunto per questo libro: valore che sta nella credibilità del suo onorato destinatario, e nella testimonianza della sua vita, che è essa stessa una eloquentissima "lezione" di pedagogia.
Educare con la vita e con la parola detta, scritta, letta, ascoltata e discussa
II primo titolo che ci è venuto in mente, quando abbiamo cominciato a riflettere sul progetto editoriale, era Una vita per educare. Questo titolo resta, in filigrana, a commento del sottotitolo, che riguarda appunto la dedica a Peppino. Resta come invito, rivolto soprattutto ai giovani, a prendere in considerazione l'attività e la notevole produzione editoriale fiorita intorno alla Fondazione Serio, di cui si vuole qui sottolineare l'anima ispiratrice e la virtù personale e familiare che la sorregge.
Il titolo che compare ora è più oggettivo e rispettoso del contenuto del libro, che vuole fornire qualche pista fruttuosa per ripercorrere secolari sentieri di sapienza pedagogica in rapporto a punti di vista, linguaggi e problemi attuali. Se è vero che la vita educa, come diceva Eduard Spranger, se è vero che educa soprattutto la vita di chi nell'educazione crede, spera, e per essa si spende, non è meno vero che la riflessione pedagogica e l'elaborazione culturale costituiscono la premessa, il contesto e il materiale di cui si avvale la relazione educativa, per aiutare le persone ad affrontare al meglio i problemi della vita.
Del resto è su questi temi, che vanno dalla famiglia alla scuola alla politica, con attenzione a tutto l'arco della vita e in particolare ad alcune "emergenze" drammatiche del nostro tempo, che ha lavorato il professore Serio, come studioso e come animatore e organizzatore culturale, nel lungo e stupefacente percorso di vita, di cui egli stesso fornisce una sintetica traccia nel capitolo autobiografico di questo libro.
Io vorrei qui sottolineare un aspetto, dei moltissimi che mi suggerirebbe la robusta amicizia che a lui mi lega, fin dall'inizio dell'avventura della Fondazione. Esso riguarda la fede religiosa che ha sorretto la sua lunga vita, a partire da una difficile esperienza di prigionia "politica", vissuta in età giovanile, dalla quale avrebbe potuto uscire disorientato.
Questa fede lo ha indotto a prendere sul serio ogni avvenimento, a prestare un supplemento di senso ad ogni momento della sua vita, anche a quelli meno comprensibili e accettabili, nella convinzione manzoniana che "Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per procurarne una più profonda e duratura". A differenza però di Manzoni, che contemplava, descriveva e raccontava il mondo e la storia restandosene chiuso in casa, Peppino ha vissuto la sua vicenda di marito, di padre, di nonno e di professore, coltivando appartenenze e partecipazioni, non separando mai la sua vicenda personale e familiare da quella professionale, associativa, ecclesiale.
Ha scritto e pubblicato una gran quantità di articoli e di saggi, con l'intento di comunicare, di imparare, di aiutare a crescere, e non per qualche motivo estrinseco, di carriera accademica, politica, aziendale. Ha insegnato e parlato per lo più "gratis", e cioè con gratitudine per i doni ricevuti e con la soddisfazione intrinseca che viene dal fare del bene agli altri.
Tanto è vero che ha continuato, imperturbabile, a lavorare nell'ASPEI, nell'UCIIM, nella Consulta delle riviste pedagogiche e didattiche, in diversi ambiti ecclesiali e civili, oltre che nella sua Fondazione e nella dirczione della sua rivista, collaborando con cattolici e laici, a livello di paese, di regione, di nazione e di continente europeo, per giovani e adulti, in occasioni diverse, anche quando frustrazioni di varia natura sembravano volerne fiaccare lo slancio ideale e le motivazioni più nobili.
Questa fede giobbica e questa sapienza profetica sono state sorrette dalla sua Jolanda, che ne ha condiviso l'impegno strategico, gli obiettivi operativi e gran parte delle fatiche organizzative. Sicché il patriarca Peppino ha continuato e continua a svolgere il suo ruolo di animatore pedagogico, anche quando l'energia della giovinezza se n'è andata e quando la società italiana e quella mondiale non sembrano più affaticate da febbre di crescita, come negli scorsi decenni, ma da sintomi di malattie più gravi.
La Fondazione è dedicata a suo figlio Gianfrancesco, che ha lasciato questa vita a soli quindici anni, travolto sul ciglio della strada da un motociclista scriteriato.
E nella fede in un Padre Celeste, silenzioso ma non insensibile nè ingiusto, che Peppino ha pensato alla Fondazione e ha lavorato per tutto il resto della sua vita, con Jolanda, con i figli Filomena ed Angelo, con Vincenzo Pucci e Maria Giuditta Garreffa, nel nome del figlio.
Questa maniera creativa di elaborare il lutto non lo ha condotto a chiudersi nella Fondazione come in una sorta di mausoleo, ma ne ha moltiplicato l'impegno a dilatare la sua paternità, anzitutto agli altri figli Angelo e Filomena, e poi a molti altri, attraverso la scuola e tutte le istituzioni con cui potesse soddisfare quel bisogno di armonia, di salute, di pace, di giustizia, di non violenza, di verità che costituiscono il riferimento costante della sua meditazione pedagogica e del suo impegno educativo.
Si spiegano così l'adesione della Fondazione all' ARDeP, associazione per la riduzione del debito pubblico, con la quale ha collaborato in alcuni convegni, e a Libera, una sorta di federazione di associazioni contro l'illegalità e la mafia, e la sua attenzione a recidere e a non attivare quei legami che avrebbero potuto compromettere la libertà e la qualità testimoniale della sua attività.
A Libera è collegata anche un'altra recentissima fondazione, sorta a Polistena, provincia di Reggio Calabria, un paio d'anni fa, nel nome di Luigi Marafioti, già preside di un istituto magistrale, collega e amico di Peppino nell'allora IRRSAE Calabria. In questo caso si potrebbe dire che, all'origine dell'aggregazione di persone e della promozione di attività educative, si trova un impegno assunto e proposto nel nome del padre.
I presidenti delle due fondazioni, Giuseppe Serio e Franco Mileto si sono incontrati di recente, come se si conoscessero da sempre. La frequentazione degli stessi ideali e l'appartenenza a due comunità di generoso volontariato affratellano le persone, costruendo di fatto una rete di amicizie, sub signo educationis.
Vivere e scrivere per educare oltre lo spazio e il tempo assegnati
Mi sono permesso qui questa citazione/perché le due fondazioni, appartenenti alla stessa regione, nota alle cronache non proprio per lo splendore di virtù civiche, all'insaputa Runa dell'altra, "pescano" nei tesori di persone che non sono più fra noi, ma che con la loro vita e con la loro morte hanno lasciato una traccia nella mente e nel cuore di chi ne ha raccolto il messaggio. Riunirsi e lavorare nel nome di chi ha lasciato questa vita, suscitando dolore e talvolta sdegno per chi l'ha spenta, non significa chiusura familistica, ma valorizzazione di un patrimonio di affetti, di ricordi, di attività, che sa parlare allo spirito forse più delle pur nobili idealità astratte.
A chi spegne una vita per affermare un potere, si contrappongono coloro che utilizzano il potere delle loro coscienze, delle loro mani, delle loro povere, ma importanti risorse, per accendere speranze, per illuminare i volti nel nome dei padri e dei figli, della vita che è stata, di quella che potrebbe essere e di quella che si vuole in qualche modo che sia.
Erano questi i pensieri, non sempre espressi, che animavano le nostre conversazioni, mentre si camminava sulla spiaggia di Praja, avendo da una parte il campanile del santuario della Madonna della Grotta e dall'altra il mare, da cui sporgeva, come un gigante disteso, l'isola di Dino.
Si pensava alla pubblicazione degli atti dei passati convegni e al tema dei prossimi. Con quei titoli e quei temi pensavamo a studiosi, relatori, amici da consultare e da invitare, a partire dal "presidente di ruolo" Antonio Pieretti, e dall'autorevole amico prajese Guido Giugni.
Lo scorrere degli anni ci ricorda che quella stagione si va concludendo e che a noi non resta che seguire il lento tramonto del sole che sta scendendo sul mare, verso l'orizzonte. La luce residua va utilizzata per mettere a punto qualche pensiero bisognoso di chiarificazione, per ringraziare, incoraggiare, raccomandare, salutare.
Un libro è come un messaggio in una bottiglia, che qualcuno forse raccoglierà: un messaggio che nel nostro caso non chiede, ma vorrebbe fornire aiuto agli amici più giovani, che con la loro attività si inoltreranno in questo difficile secolo. A cominciare dal comune amico Egidio Lorito, il cui ultimo libro, che reca in copertina una splendida fotografia del golfo di Praja e della sua Isola, ha un titolo felice, che gli chiediamo in prestito: Tracce di Calabria. Lo sguardo indietro, il cuore avanti.
I convegni, i libri, le riviste, le lettere, le e-mail, le telefonate sono state per noi alimento di idee e di affetti, che ci hanno aiutati ad affrontare momenti diffìcili e a moltipllcare la gioia dei nostri incontri e delle nostre iniziative.
Anche il libro dedicato a Peppino fa parte di questa stagione e in qualche modo ne riassume e ne continua lo spirito. Se non vincerà "di mille secoli il silenzio", come dice il Foscolo della poesia, almeno vorrebbe prolungare il dialogo anche oltre il tempo biologico concesso a ciascuno di noi, e lasciare nell'aria l'eco di un interrogare e di un rispondere non solo sulle "sciagure umane", ma anche sulla dignità e sulla grandezza dell'uomo.

Luciano Corradini"

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