Dopo le proteste, l’ex membro dei Pac viene spostato nel carcere di Ferrara. L’avvocato D’Amico: «L’ho trovato a un passo dalla morte».

Il trasferimento nelle ultime ore dopo che, a quanto pare, la sua sicurezza era stata messa a rischio nel reparto destinato ai terroristi islamici: da un comunicato del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, è emerso che nel carcere calabrese, nell’ultimo periodo, si fosse instaurato un clima di tensione nei confronti dell’ex terrorista.
Due giorni addietro Battisti aveva ricevuto la vista della parlamentare cosentina del Pd Enza Bruno Bossio -«era molto provato dalla protesta e in uno Stato di diritto non è consentito andare oltre una sentenza di condanna»- e dell’avvocato Adriano D’Amico che l’aveva «incontrato ad un passo dalla morte».

Era in sciopero della fame dallo scorso 2 giugno Cesare Battisti, 67 anni, ex membro dei Proletari armati per il comunismo, storico gruppo dell’eversione terroristica di estrema sinistra, detenuto in regime di massima sicurezza presso la casa circondariale di Corigliano-Rossano Calabro, nel cosentino. Condannato all’ergastolo e ristretto nella sezione di alta sicurezza “As2” costituita per i terroristi islamici, il 9 giugno, aveva lanciato un appello a familiari ed amici in cui dichiarava di essere dimagrito, di subire gli effetti dell’assenza di ordinaria ossigenazione e di aver smarrito la lucidità, e a tutti i suoi si è rivolto per uno sforzo che lo avrebbe portato «all’ultima conseguenza in nome del diritto alla dignità per ogni persona detenuta, cosciente di recarvi un grande dolore».
Panorama.it ha contattato l’avvocato Adriano D’Amico, del foro di Castrovillari, che a nome del “Comitato di Solidarietà Internazionale a Cesare Battisti”, ha spiegato come «Cesare Battisti, del quale, preciso, di non essere il difensore di fiducia, non avrebbe proprio dovuto trovarsi ristretto in una sezione di massima sicurezza come quella del carcere in cui si è stato ristretto qui a Rossano-Corigliano».
In che senso, avvocato?
«Guardi, le mostro l’ordinanza n. 3 del 2019 della Corte d’Assise d’Appello di Milano, confermata in Cassazione, che aveva stabilito come Battisti avrebbe dovuto scontare la sua pena in regime ordinario e non certo in una sezione speciale come quella in cui si è trovato ristretto. Ecco le ragioni della sua vibrata richiesta di trasferimento e dello sciopero della fame».
Intanto è stato trasferito a Ferrara…
«Dove, sicuramente, non troverà le condizioni problematiche in cui ha dovuto vivere nell’istituto cosentino, anche se, è bene sottolinearlo, nel carcere romagnolo continuerà ad essere sottoposto all’alta sicurezza».
Niente retrocessione tra i detenuti comuni.
«Questa procedura è più complessa: occorrono la richiesta del detenuto, il parere del Gruppo di osservazione e trattamento all’interno dell’istituto penitenziario, poi altri pareri alle rispettive Procure, sino alla pronuncia del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Nel caso di Battisti, pesa l’interruzione della procedura, il breve tempo in regime di detenzione e, soprattutto, la scelta di avviare uno sciopero duro come quello della fame».
Ci sveli come è entrato in contatto con Battisti.
«Appena arrivato nel carcere di Contrada Ciminata, qui a Corigliano-Rossano, nel settembre del 2020, Battisti si fece promotore di un “appello ai compagni”, dal contenuto piuttosto forte (“se mi silenziano, i compagni si mobiliteranno”) e, da par mio, pubblicai una lettera aperta -“Lettera di un intellettuale sconfitto ma non rassegnato”- con cui rivendicavo il suo diritto di vedersi riconosciute le condizioni carcerarie della sentenza che lo condannava».
Mi perdoni: quella di Battisti poteva apparire una nuova chiamata alle armi…
«Assolutamente no. Ha abiurato da tempo la lotta armata e da tempo ha ammesso le sue responsabilità. Mi sono mosso come militate di sinistra, avvocato e padre di un bambino coetaneo del suo, Raul, che avrebbe diritto a rivedere suo padre».
Avvocato, mi perdoni: Battisti non è un ergastolano normale…
«Nel maggio dello scorso anno, in considerazione del tempo trascorso dai reati per cui è stato condannato, la sua difesa aveva avanzato istanza di “declassificazione”, chiedendo che Battisti fosse collocato in un circuito detentivo di livello inferiore (passando quindi da “alta sicurezza” a “media sicurezza”) e che fosse di conseguenza trasferito presso il carcere di Milano-Opera o Roma-Rebibbia: richieste rigettate dal Dap, su parere conforme della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo».
Oltre allo sciopero della fame, pare abbiano pesato le condizioni di sicurezza personale…
«Aveva denunciato subito la condizione in cui viveva qui in Calabria, in un reparto di alta sicurezza costituito per controllare i terroristi musulmani, ai quali era però concesso il diritto di pregare insieme. Poi un suo libro sull’Islam lo aveva anche reso inviso ai detenuti qui di Corigliano-Rossano».

Appena lo scorso 25 giugno, oltre all’avvocato D’Amico, anche la parlamentare del Partito Democratico Enza Bruno Bossio aveva fatto visita al detenuto: «Abbiamo trovato un uomo molto provato dalla protesta dello sciopero della fame, che ha inteso mettere in atto contro il regime di isolamento a cui è costretto, nonostante le norme attualmente in vigore lo vietino espressamente», aveva evidenziato la Bruno Bossio, rimarcando che «abbiamo voluto attestare che in uno Stato di diritto non è consentito andare oltre una sentenza di condanna, ribadire la finalità rieducativa della pena sancita dall'articolo 27 della nostra Costituzione, il quale prevede espressamente che non siano consentiti trattamenti contrari al senso di umanità».
Chi erano i Pac.
I Proletari armati per il comunismo sono stati un gruppo terroristico di estrema sinistra, nato in Lombardia nel 1977 attorno alle figure di Cesare Battisti, Sebastiano Masala, Arrigo Cavallina, Claudio Lavazza, Pietro Mutti e Giuseppe Memeo: quest’ultimo è passato alla storia grazie ad uno scatto dell’architetto-fotografo Paolo Pedrizzetti, divenuto uno dei simboli degli anni di piombo. Il 14 maggio 1977, dopo l’uccisione dell’attivista Giorgiana Masi, avvenuta due giorni prima a Roma e l’arresto di due avvocati di Soccorso Rosso, Sergio Spazzali e Giovanni Cappelli, un corteo di militanti provocò gravi disordini in Via De Amicis: Giuseppe Memeo fu immortalato da Pedrizzetti, a viso parzialmente coperto da passamontagna, al centro della strada, mentre impugnava a due mani una pistola. Durante gli scontri rimase ucciso l’agente Antonio Custra, vicebrigadiere della celere, della cui morte venne inizialmente accusato proprio Memeo, poi scagionato dal giudice istruttore Guido Salvini, perché a sparare ed uccidere fu un altro esponente del Pac, Mario Ferrandi.
L’omicidio Torregiani.
Il 16 febbraio del 1979 i Pac portarono a segno l’azione forse più eclatante: il gioielliere milanese Pier Luigi Torregiani, insieme ai figli, rimase vittima di un agguato portato a compimento da Giuseppe Memeo, Gabriele Grimaldi e Sebastiano Masala, per vendicare la morte del rapinatore Orazio Dadone, rimasto ucciso il 22 gennaio precedente nel corso di un tentativo di rapina ai danni proprio del gioielliere. Torregiani, che girava regolarmente armato, venne ferito da Memeo, dalla cui pistola partì un proiettile che colpì, alla colonna vertebrale, il figlio quindicenne Alberto che rimase paralizzato. Torregiani venne poi finito con un colpo alla testa esploso da Grimaldi, prima che i tre si dessero alla fuga. Il successivo processo portò alla condanna a trent’anni di Giuseppe Memeo, Gabriele Grimaldi e Sebastiano Masala, mentre Cesare Battisti venne condannato a 13 anni per concorso morale, avendo partecipato al summit in cui si decise l’omicidio, di cui fu co-ideatore e co-organizzatore. L’ergastolo che sta scontando è per quattro omicidi, due commessi materialmente e due in concorso con altri suoi compagni di lotta.

Panorama.it     Egidio Lorito, 27/06/2021

Torna su