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“Quando escono per la prima volta nelle librerie britanniche, tra il 1741 ed il 1742, i saggi politici di David Hume, grazie all’efficace mediazione, in essi audacemente sperimentata, tra la prospettiva storica e quella filosofica dell’approccio alla politica, si presentano come la testimonianza più vivida dell’equilibrio intellettuale tra pensiero e azione, teoria e prassi, che contraddistingue il loro autore come pochi altri nella storia del pensiero politico occidentale”.
“David Hume. Libertà e moderazione. Scritti politici” (Rubbettino, 2016) con traduzione, introduzione e note, è la prima edizione italiana integrale e completa degli scritti politici di David Hume: curatore e traduttore della complessa opera è  Spartaco Pupo, docente di Storia delle dottrine politiche e Storia del pensiero politico all’Università della Calabria.

Il giovane ricercatore calabrese continua così il proprio percorso di ricerca accademica lungo il filone del pensiero politico conservatore che anni addietro approdò in un interessante volume su Richard Nisbet ed il suo “Conservatorismo sociale”: in quel saggio, Pupo aveva soprattutto fatto emergere Nisbet come uno dei padri della sociologia contemporanea che già negli anni ‘50 aveva messo in guardia la cultura occidentale nel non sottovalutare quello che era il più grande problema sociale che si prefigurava all’orizzonte: “Nisbet parlava di  <<declino della comunità>>, fenomeno che nel corso dei secoli  si è accompagnato al vertiginoso  sviluppo dello Stato, questo <<Gigante Golia>> che tocca e dirige la vita di ogni uomo, sia nella sfera pubblica che in quella privata”.     

Membro del comitato di direzione della prestigiosa “Rivista di Politica” diretta dal politologo Alessandro Campi, Pupo cerca, ora, di fare chiarezza su uno dei più dibattuti classici del pensiero politico.
Professore Pupo, ci troviamo di fronte ad un saggio di storia del pensiero politico caratterizzato da una profonda ricerca bibliografica.
“In effetti, dopo le palesi manipolazioni di cui è stato fatto oggetto il suo pensiero nella seconda metà del ‘900, volte ad accreditare l’improbabile figura di uno Hume progressista e universalista, ho cercato di ovviare alle numerose omissioni compiute, talvolta anche in modo indiscriminato, nelle precedenti edizioni italiane allo scopo di piegarne forzatamente il pensiero a dottrine e visioni della politica altrimenti distanti dalla vera figura di intellettuale che caratterizza David Hume. Per questa manipolazione storiografica, quello dello Hume politico è uno dei casi più eclatanti in cui la traduzione degli scritti politici di un autore classico si è rivelata come un’operazione ideologica dettata da intenzioni non coincidenti, o coincidenti solo in parte, con quelle dell’autore stesso”.
Le va riconosciuto il merito di avere coraggiosamente rivisitato e rivalutato la figura dello Hume politico.
“Grazie ad una lunga introduzione, comprensiva di nota biografica e bibliografica, sono riuscito a portare alla luce il lato meno noto rispetto allo Hume filosofo, scettico, moralista, metafisico rimasto famoso in tutto il mondo per le teorie empiristiche esposte nel “Trattato sulla natura umana”: per me, Hume è molto di più. È il filosofo politico realista che si interroga sulla origine del potere e dello Stato senza ricorrere all’espediente intellettuale caro a tutti i suoi contemporanei, del contratto sociale. Lo Stato, per Hume, non nasce da un accordo razionale tra gli uomini, né da un presunto consenso deliberato, ma dalla forza, dalla guerra, dall’usurpazione o conquista militare: questo stabilisce la storia dei popoli e di questo occorre prendere atto. La riflessione di Hume si pone dunque in contrasto con quella dei teorici del cosiddetto “contrattualismo” – Hobbes, Locke, Rousseau – “ragionatori”, scrittori “del principio”, distanti anni luce dal senso comune e rappresentanti come tali di una “falsa filosofia”, i quali sostengono che all’origine del potere politico vi sia la scelta razionale dell’uomo d’uscire dallo “stato di natura” per porsi sotto il più comodo ombrello protettivo dell’autorità. Hume ritiene, invece, che il potere abbia una matrice convenzionale: la sua reiterazione nel tempo lo legittima e soprattutto lo rende effettivo, senza la necessità d’indagare più di tanto le ragioni per cui l’obbedienza sarebbe dovuta. Più che il consenso volontario, a legittimare l’autorità politica e l’obbedienza “passiva” è l’abitudine, che Hume definisce la <<grande guida della vita umana>>”.
Lei insiste molto sul ruolo delle Istituzioni…
“Le istituzioni si evolvono nel tempo in base allo sviluppo delle esigenze e dei bisogni degli uomini, che richiedono una sempre maggiore sofisticazione di sistemi e processi politici al fine di soddisfare i propri interessi”.
Ed anche sul ruolo dell’opinione pubblica, tornata di gran moda, oggi…
“Hume è il teorico della opinione pubblica, che è alla base di ogni governo, sia esso “libero” o “dispotico”, perché il potere moderno deriva non più dalla personalità dei governanti, come accadeva nell’antichità, ma dalla stabilità delle istituzioni ereditate e dall’ opinione che ne hanno i cittadini. Concetto, questo attualissimo…
Si enfatizzano il significato di libertà individuale, libertà economica e libero mercato.
“Hume è anche il vero maestro di Adam Smith! Per il grande filosofo scozzese la produttività non è sinonimo di “profitto” in senso economico e materialistico ma idealizzazione ovvero produzione di idee per lo sviluppo: è Hume il vero iniziatore dell’economia politica liberale, ma il suo liberalismo è limitato alla sfera economica perché in politica Hume, più che liberale, è conservatore”
Insomma: il “conservatorismo” è un Suo pallino…
“Con Hume siamo alle origini! Non solo perché in chiave controrivoluzionaria dice della rivoluzione puritana inglese le stesse cose che Burke dirà quarant’anni dopo della Rivoluzione francese, e cioè che si è trattato di un tentativo di trasformazione radicale dell’ordine costituito in nome di principi astratti e per fanatismo politico. È conservatore perché ritiene che non tanto il cambiamento, che è nelle cose della natura, e quindi è inevitabile, quanto lo «spirito d’innovazione» è «di per sé pernicioso, per quanto positivo possa talvolta sembrare un suo obiettivo particolare», sconvolge la natura del tempo e dell’esperienza e arresta il lento processo di adattamento delle istituzioni”.
Tradotto in linguaggio politico, quello di Hume è, secondo Spartaco Pupo, un conservatorismo laico, politico. nel vero senso del termine, basato cioè su un ordine morale e sociale della natura umana, e non su determinati modelli di tipo metafisico.
Dica la verità: quanto può essere attuale Hume, oggi?
“Molto! Soprattutto per la sua visione dei partiti: è sua, infatti, la prima classificazione dei partiti nella storia del pensiero politico: <<partiti di principio>>, ossia quelli ideologici, attaccati a una idea astratta o a un sentimento spesso anche irrazionale; <<partiti di interesse>>, più disposti a negoziare i propri bisogni con il più alto interesse nazionale; e <<partiti di devozione>>, formati da quelli che sono rimasti fermi al Medioevo, e che intendono farsi governare da una persona o da una dinastia. Questi ultimi, per Hume, erano pericolosi quanto i primi, perché anteponevano le proprie ragioni settarie e fanatiche al mantenimento della stabilità del governo e alla difesa dell’interesse collettivo. Queste riflessioni, proposte poco meno di tre secoli fa, si rivelano di grande attualità, se si pensa che l’epoca che viviamo è contraddistinta dalla crisi di credibilità dei grandi  <<partiti ideologici>> (o di principio, come li chiamava Hume) e dall’affermazione dei <<partiti personali>>, quelli costruiti non intorno ad un programma ma alla personalità di un leader o di una famiglia”.
Il volume sta riscuotendo successo: e’ stato recensito da importanti testate giornalistiche nazionali (l’Avvenire e Il Giornale) ed è stato presentato alla Cattolica di Milano, alla Fondazione Luigi Einaudi di Roma, al Festival di Caffeina di Viterbo, al Festival Leggere e Scrivere di Tropea. E Spartaco Pupo è stato anche insignito dell’iscrizione alla “Hume Society”, organizzazione scientifica internazionale dedita allo studio del pensiero del grande pensatore scozzese.
Rileggendo le riflessioni di Hume, si scorge l’assoluta attualità di un argomento tanto caro a giornalisti e lettori: “nulla risulterà più sorprendente a uno straniero, dell’estrema libertà di cui gode nel nostro Paese, la libertà di dire pubblicamente tutto ciò che si vuole e di censurare apertamente qualsiasi provvedimento deciso dal re o dai suoi ministri (…). E poiché di una simile libertà non si gode in nessun altro Stato, sia esso repubblicano o monarchico, in Olanda o a Venezia non più che in Francia o in Spagna, può sembrare naturale domandarsi: come mai la Gran Bretagna è la sola a godere di questo speciale privilegio?” E di quale libertà parlava David Hume? Ma della libertà di stampa, ovviamente… 

Cronache delle Calabrie, pag. 24                    Egidio Lorito, 09/01/2017

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