L’INTERVISTA. Vive in un mondo in vernacolo ed ama definirsi una operaio della cultura organico al proprio territorio a cui è legato

Pur senza scomodare Gramsci, la questione dell’intellettuale organico ritorna quasi sempre nei dibattiti culturali: si può essere organici ad un partito politico, ad un movimento, ad un’ideologia. Per Franco Galiano l’organicità si allarga addirittura ad un intero territorio, del quale egli stesso si considera espressione.  

Scrittore, poeta, saggista, conferenziere, autore teatrale in vernacolo ed in lingua, autore  di pubblicazioni  sul cedro, agrume sacro calabrese di cui ha proposto la candidatura e promozione nel patrimonio Unesco, Galiano ha all’attivo la pubblicazione di quindici lavori letterari: ama definirsi, più che un intellettuale, un operaio della cultura, disorganico rispetto alle formazioni politiche, ma organico al  proprio territorio, cui sentimentalmente si sente legato. Una silloge di raccolte poetiche e pièce teatrali in vernacolo, una variante del dialetto bruzio  della Riviera dei Cedri, tuttora senza una vera e propria tradizione e codificazione scritta, lo ha reso definitivamente noto al pubblico della Riviera dei Cedri: e questa sua produzione in vernacolo è stata salutata dal dialettologo Leonardo  Alario che lo ha inserito a pieno titolo tra i più significativi contemporanei  della poesia  meridiana  europea e dal compianto critico Antonio Piromalli che definì le poesie di Galiano come tra le più belle mai scritte nella nostra Regione. Cimentatosi in vernacolo calabrese con le poesie di Orazio, Catullo e d’Annunzio, nel 2013 è stato insignito, dal Presidente della Repubblica, dell’onorificenza di Cavaliere Ufficiale al Merito.

Allora, Galiano, come nasce l’interesse per la società rurale e per il suo recupero nella  memoria letteraria?
 “Mi onoro di essere figlio della società contadina ed artigiana calabrese, ove ho trascorso l’infanzia in un piccolo centro collinare della costa tirrenica con sguardo su un mare metafora di avventure, di miti, di libertà e di anarchia spirituale. Ricordo ancora una natura magica, bucolica prima della triste partenza per gli studi superiori a Roma e Verona. Sino all’atteso ritorno in Calabria…”.

Quel mondo rurale, però, non l’ha mai abbandonato…
“E come avrei potuto! Con quella società che non è quella di un Sud arcaico e primitivo, idilliaco e rassicurante  ma, semmai, l’esempio di una comunità  in fieri, i rapporti sono più vivi che mai. E’ un laborioso microcosmo che soffre e gioisce, a volte conflittuale in una economia povera di sussistenza, ma che non smarrisce mai  la speranza  del riscatto, tra solidarietà ed identità. Con la cornice del paesaggio bruzio, solare ed estatico, a stregare per la sua inquietante bellezza”. 

Sceglie spesso il dialetto per le sue opere: un legame ancestrale con quel passato?
 “E’ accaduto di recente anche con la mia quindicesima fatica letteraria,  “La Terra del Mazzuco” (Edizioni Accademia del Peperoncino, Diamante), silloge di raccolte poetiche in vernacolo, variante del dialetto calabrese della Riviera dei Cedri, con influenze lucane e basso-campane. In noi risiedono le radici di una antica concezione del  lavoro, dei rumori e della musica della festa a rappresentare una forza espressiva da non cancellare se non si vuole smarrire  la propria identità, i riferimenti simbolici, i valori rurali lungamente interiorizzati. Era necessario ricorrere all’uso del dialetto, cercando soprattutto,  sulla scia della tradizione letteraria (da Padula a Pasolini), di sottrarre la parlata vernacolare  al ruolo di espressione ingenua e folclorica del mondo popolare, per farne un linguaggio autentico senza tempo. Una barriera contro l’italiano anonimo e banalizzato, vittima della modernità, del consumismo e della omologazione selvaggia. Il dialetto come lingua contestativa e memoriale”.

Addirittura poi le traduzioni in vernacolo di Orazio, Catullo e d’Annunzio!
“La difficoltà dell’operazione per D’Annunzio era legata alla sua musicalità ed al funambolismo della parola: mi sono cimentato con La pioggia nel pineto, orchestratissima e sonora.  Orazio è stato un poeta morale e discorsivo, Catullo il simbolo della passionalità: entrambi, pur diversi,  appartengono all’esistenzialismo immediato e rurale della nostra  interiorità mediterranea e per questo mi è stato più agevole  tradurli. Se la traduzione  è ascolto e  confronto tra spiritualità differenti, è facile capire come abbia privilegiato autori di questo calibro: sono universali e  reinterpretandoli, rivisitandoli  nella lingua e nella cultura calabrese, ho cercato un confronto con il mondo  globale”.

Nuovi messaggi tramite la poesia dialettale, allora…
Un messaggio utile! La poesia come sapere disinteressato, sfida di una cultura meridiana e vernacolare   autoctona, è capace di formare l’uomo libero, di sollecitarne la conoscenza e la coscienza civica. La mia poesia, pur non essendo organica ad alcuna formazione politica e non recando alcun messaggio urlato,  è genuinamente impegnata e non di evasione. Comunicare emozioni, curare lo stile e la scrittura, sono obiettivi volti ad ampliare il pensiero e la riflessione di chi legge:  realizzare il fatto estetico significa raggiungere un obiettivo morale che si pone alternativo alle sirene della società consumistica. Insomma, la  poesia è una vera e propria rivoluzione sognata in quanto il sogno contagia. Questi anni di impegno culturale per il mio territorio mi hanno convinto che  l’arte sia un’illusione seduttrice che stimoli a vivere e non maschera del nichilismo: non mi ritengo, perciò, né un poeta attardato, né retrivo, né lacrimoso, né falsamente  populista, ma un periferico rapsodo  della provincia emarginata  e voce progressista di quella Calabria generosa  e scommettitrice che vuole trasformare il dolore in forza e le arretratezze in protesta”.

Franco Galiano è più un poeta o uno scrittore?
“Entrambe le cose. Non sempre c'è distinzione: si può essere anche poeti in prosa, ciò che unifica e fa la differenza è sempre lo stile, la forza espressiva, la disposizione fantastica e sentimentale con cui si scrive”.

La Provincia di Cosenza                Egidio Lorito, 18 dicembre 2014

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