Editrice San Raffaele, Milano 2011, pp. 121, € 13,00

“Il trattino nel titolo “Ri-animazione” separa, dalla parola che identifica la mia professione, il termine “animazione”, che per me richiama alla creatività: al saper inventare e rendere presente qualcosa, all’avere delle idee e a renderle concrete, viventi, animate. Il mio mestiere, considerato nella sua pienezza, condotto al meglio delle nostre possibilità, permette e anche richiede un continuo esercizio di “animazione”, di libertà”. Parte da lontano Alberto Zangrillo, utilizzando un percorso posto giusto a metà strada tra professione medica ed impegno umano, perché la sua attività si colloca naturalmente nella fase più delicata della vita di un paziente, dove vita e morte si incontrano, si toccano.

E’ in quel sottile incontro tra le tecnologie più sofisticate e la sofferenza psicologica più acuta che entra in scena il medico “anestesista-rianimatore”: da un lato l’avanguardia della tecnica, dall’altro le questioni etiche del nostro tempo. In questa sottile linea si colloca una pubblicazione destinata ad arrivare al cuore di un problema che tiene banco nel nostro Paese da alcuni anni, destinato a suscitare dibattiti e discussioni che non si limiteranno certo al solo settore medico-scientifico. Professore Ordinario di Anestesiologia e Rianimazione presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Direttore dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale e della Terapia Intensiva e Rianimazione Generale e della Terapia Intensiva Cardiochirurgica dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele, Alberto Zangrillo è un’autorità scientifica di prim’ordine che ora ci restituisce pagine di assoluto spessore medico ed etico, scientifico e politico. E così, da quel suo privilegiato osservatorio medico, affronta una serie di temi che non potranno non conquistare un pubblico teoricamente smisurato: la disciplina è non solo di affascinante spessore scientifico, ma anche di stretta attualità, visto che si salda con il tema del “fine-vita”, che tanto sta facendo discutere lo stesso elettorato italiano;e se poi aggiungiamo che l’argomento è trattato da chi pratica la materia ad alto livello scientifico, il risultato sono godibilissime pagine che vengono offerte ai lettori con la giusta semplicità. “Ri-animazione. Tecnica e sentimento” (Editrice San Raffaele, Milano, 2011) si presenta, così, come una pubblicazione non solo scientifica nel senso tecnico del termine, ma come un più ampio ragionamento su temi che stanno -finalmente- interessando l’opinione pubblica italiana fino a dividerla dal punto di vista politico, visto che i sostenitori delle diverse fazioni hanno fatto diventare il tema del comportamento medico “finale” come uno dei nodi più spinosi dell’agenda politica azionale. Queste pagine, arricchite dalle citazioni di William Osler, medico olandese padre della medicina moderna, contribuiscono ad aggiungere al dibattito scientifico riflessioni che vanno al di là del dato puramente medico: “cercano di narrare l’avventura creativa della rianimazione nei suoi aspetti più faticosi, così come nei tratti che nel tempo mi hanno reso orgoglioso di fare questo mestiere”. In questo modo, aprono un intero ambito non solo scientifico, ma soprattutto umano, se è vero che tante sono le sfaccettature: “il fine-vita, il rapporto tra la pratica medica e la tecnologia, la qualità della sanità italiana, la valutazione dell’eccellenza nell’ambito della cura e della ricerca, l’iniquità dell’accesso alle facoltà di medicina- che oggi rappresentano una sfida aperta per l’umanità che vive in una società certamente stimolante, ma pervasa da incertezze e laceranti contraddizioni”. Dicevamo della sottile linea che divide gli argomenti presentati, di quella “terra di nessuno” nella quale un medico altamente qualificato è chiamato ad operare: “la quotidianità del medico che ha deciso di dedicarsi proprio a quei pazienti che, per i motivi più disparati, sono in una terapia intensiva è densa, intrisa di sofferenza. E’ una quotidianità che si trova suo malgrado a instaurare una sorta di scomoda familiarità con la morte, la fatalità, la perdita, con quanto cioè viene solitamente rimosso dal presente delle persone in salute ed indaffarate. Per questo sono necessari dei momenti di compensazione. Non sono uno psicologo e non ho consuetudine con la psicologia, ma cerco, per stare meglio, di confrontarmi con gli altri.“ In questo percorso di umana sofferenza che Zangrillo ama condividere sempre con altri suoi amici-colleghi -come nel caso del Professor Luigi Beretta, Responsabile dell’Unità Operativa di Anestesia e Terapia Intensiva Neurochirurgica dello stesso San Raffaele- il lettore, attento e scrupoloso, non avrà difficoltà a cogliere uno dei tratti più caratteristici di un moderno rianimatore. Non ci può, infatti, essere chiusura scientifica o mentale, riserva a collaborare o competizione personale in un settore così delicato ed altamente rischioso come quello della rianimazione e delle unità di terapia intensiva: in questo ambito specialistico, dove il confine tra la vita e la morte è quanto mai sottile, vale -prima di tutto- la collaborazione professionale mai disgiunta da quella umana. Ed in effetti, anche con gli allievi più giovani, Zangrillo mostra di condurre un rapporto sempre lineare e limpido, perché -i giovani- prima che allievi e colleghi, saranno i rianimatori del domani, che è bene formare anche dal punto di vista umano, oltre che professionale. Colpiranno, sicuramente, le pagine dedicate al “tramonto della vita”, quando sembra quasi diventare incessante una sorta di spettacolarizzazione del dolore, senza nessun rispetto per quella riservatezza che dovrebbe accompagnare questi momenti di assoluta intimità: “trovo inaccettabile -sostiene apertamente Zangrillo- che vengano superati i confini di quel sacro privato che deriva dalla conoscenza della patologia del singolo, del suo dolore, della sua prossimità di morte. Mi interrogo quasi ogni giorno ,anche in famiglia, se sia lecito, se debba essere consentito poter agire impunemente senza timore di essere contrastati dall’autorità, esteriorizzando la sofferenza per alimentare, fomentare la curiosità più semplice e banale dei molti”. E poi le attualissime pagine sull’accanimento terapeutico, sulla vita vegetativa, sul testamento biologico: argomenti di tale spessore scientifico e di tale portanza etica da essere quasi impoveriti a seguito di sterili discussioni politiche, perchè non si dovrebbero certo alzare le barricate proprio su quei temi che riguardano l’ultimo soffio di vita: “Il caso di Eluana Englaro è stato una vicenda dolorosissima, in particolare per le persone vicine a quella ragazza: non possiamo negare che a un certo punto di quella storia si sia manifestato un vuoto -non solo di ordine legislativo- ma un vuoto dovuto ad un autentico smarrimento, che non consentiva a nessuno di potersi pronunciare dicendo <>”. E invece, in quei mesi, molti pensavano di dire la cosa giusta… Pagine intense, scientificamente orientate ma mai sganciate da quel patrimonio umano che, a qualunque latitudine, deve caratterizzare la figura del medico che all’inizio della sua “missione” come nel corso del terzo millennio non potrà mai abdicare al suo primario ruolo di tutore della salute e della vita umana. Pagine che Zangrilo ha condito anche con ricordi della sua infanzia, come la scelta di affrontare un corso di medicina, il rapporto con i figli e -soprattutto- con i pazienti. Pagine da leggere d’un fiato per entrare in contatto con un mondo dove scienza ed etica sembrano ritrovare quel loro naturale connubio.

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