A tu per tu con...

Definire “intervista” il dialogo con Emanuele Severino può apparire sin troppo riduttivo. Lezione magistrale di filosofia, geniale conversazione, ascolto estasiato, mi sembrano definizioni ben più adeguate allo spessore scientifico dell’interlocutore. Ricordo la serata che fui chiamato a coordinare come uno dei momenti di maggior impatto scientifico da quando ho la fortuna di moderare alcuni dei protagonisti del giornalismo e della cultura nazionale: il 28 luglio scorso era programmata la presentazione delle ultime opere di Piergiorgio Odifreddi e Luciano De Crescenzo (prossimamente ospiti di questa rubrica) e l’organizzazione mi pregò caldamente di annunciare che l’indomani si sarebbe tenuta una “Lectio Magistralis” di Emanuele Severino, tra l’altro presente in prima fila: già moderare un dibattito innanzi a due-trecento persone è fonte di apprensione, figuriamoci se ogni parola, anche la più banale, viene ascoltata e pesata da chi, da oltre cinquant’anni, vive in primo piano la ricerca e la speculazione filosofica.

E per presentare l’illustre autore, presi a prestito la definizione di Massimo Cacciari “(…), un gigante, l’unico filosofo del Novecento che si possa contrapporre ad Heidegger(…)”. Con queste credenziali introdussi Emanuele Severino ad una platea numerosa, attenta come meritano solo i giganti della cultura e -aspetto assolutamente non trascurabile- composta da moltissimi giovani, accorsi ad ascoltare questo filosofo bresciano, classe 1929, la cui cordialità, disponibilità e pacatezza espositiva ho avuto la fortuna di gustarmi tutte assieme, durante quella sera come nel recente contatto telefonico da cui è scaturita questa conversazione. E -detto sinceramente- non sembravano esserci 1200 chilometri di distanza a separarci, così come nessun formalismo di maniera e nessuna altezzosità… Professor Severino, cosa vuol dire essere filosofo oggi? “E’ una domanda cui si può rispondere da due versanti: il primo riguarda il filosofo in quanto abitatore dell’Occidente, cioè colui che vive una parte ben precisa del nostro mondo: l’essenza di questo abitatore, la dimensione in cui esplica la sua funzione è il rendersi capace di portare alla luce il sottosuolo inesplorato del pensiero filosofico degli ultimi due secoli. Dico così perché, per lo più, il filosofo attuale non si rende conto della forza che compete a pensatori straordinari che sono solito citare, come Friederich Nietzsche e Giovanni Gentile: la corrente ermeneutica e quella analitica danno per scontato il rapporto tra la contemporeaneità del filosofare e la tradizione occidentale, tra la storia del pensiero occidentale e le sorti di questa civiltà. Sono convinto -ormai- una volta per tutte, che dovremmo imparare a vedere nella filosofia la vera anima di una civiltà, della nostra civiltà occidentale, appunto. Da questo primo versante, il filosofo è abitatore del pensiero occidentale, cosa che dovrebbe spingerlo a rendersi adeguato al proprio sottosuolo, cosa che per lo più non avviene. Poi c’è l’altro versante, ovvero quello del filosofare, che mette in questione proprio l’abitare l’Occidente, espressione dell’ alienazione estrema che possa manifestarsi: è un passo difficile da capire, perché qui sta la capacità di scendere in un sottosuolo ancor più profondo che costituisce il nostro essere, che ci costituisce. Ho detto che valori della tradizione e della critica rappresentano il filosofo del nostro tempo, incapace di scendere nel sottosuolo della filosofia del nostro tempo. Riassumendo: nel primo versante sono racchiusi il passato ed il presente della storia del pensiero occidentale ed oggi noi occidentali non conosciamo appieno la nostra forza: è come se un uomo, con in mano una spada, non fosse in grado di utilizzarla;nel secondo versante è racchiusa la messa in questione di questo scontro tra il passato ed il presente dell’Occidente, che è quello che mette in discussione il concetto di uomo, che Lei presuppone nella sua domanda. Ebbene, proprio perché mi ha chiesto “cosa vuol dire essere filosofo oggi”, questa domanda si fonda su tutti i suoi termini: <>come qualità;<>come valore temporale;<>come esponente della categoria di pensiero. Tutti questi termini provengono dalla profondità di noi stessi, in quanto la sapienza ultima non proviene da un kerigma che ci informa dell’essenziale. E’ già profondamente essenziale: è ciò che è più difficile da capire e da raggiungere”. Non è un caso che Severino, a questa mia prima domanda, abbia argomentato tirando in ballo il pensiero occidentale: qualche giorno prima che avvenisse questo esaltante dialogo telefonico, il Professore Emerito di Filosofia Teoretica all’Università di Venezia ed oggi docente di Ontologia Fondamentale all’Università Vita-Salute San Raffele di Milano -fondata e diretta dal vulcanico Don Luigi Verzè- aveva pubblicato sul “Corriere della Sera” un autorevole commento dal titolo “Occidente. L’impossibile declino”, con cui aveva portato la critica alla tesi di Niall Ferguson, per il quale il declino della civiltà occidentale è legato al decremento demografico. Il giovanissimo storico americano, docente alla Harvard University ed inserito nel 2004 dall’autorevole “Time” tra i 100 personaggi più influenti del pianeta, ha teorizzato il declino dell’Occidente, praticamente costretto ad arretrare di fronte all’imponente massa umana in continuo arrivo da Asia e Sud America. “Si può affermare” -sottolineava Severino lo scorso 3 novembre- <>per il motivo che le masse del Sud America, dell’Asia, dell’Africa stanno sostituendo negli Stati Uniti e in Europa le popolazioni di razza bianca sempre meno prolifiche? Oppure questa tesi si dimentica delle strutture di cui ogni razza è inevitabilmente inscritta e che la struttura oggi sempre più dominante è il frutto più maturo dell’Occidente -dunque ben lontano dal declino- che si chiama <>?” Insomma, per Severino la <>salverà l’Occidente da questi apocalittici scenari di declino che il 42enne storico di Harvard ha di recente sottolineato nel suo “Colussus. Ascesa e declino dell’impero americano”. Se allora l’Occidente può contare sulla “tecnica”, dove è avviata la nostra civiltà occidentale? “Non possiamo accettare l’idea di Storia come semplice descrizione dei fatti, come susseguirsi freddo e distaccato di date, eventi, uomini: c’è la possibilità di vedere nella storia una vera struttura. Detto in breve, c’è un destino che conduce inevitabilmente al declino, alla fine di un’avventura storica o -almeno- al suo ridimensionamento e c’è un destino che conduce a quel sottosuolo del pensiero filosofico del nostro tempo: personalmente, sono persuaso che alla radice ci sia la fede nella condizione essenziale del divenire: non ci può essere nessuna potenza e nessuna scienza che si prefigga la trasformazione del mondo -religione compresa- che configura la potenza degli dei o di Dio, come forza suprema. Allora, se si crede in ciò, il destino dell’Occidente sta andando verso una tecnica intesa come continuo trascendimento che può anche travalicare il dato materiale e dirigersi verso quello trascendentale: la tecnica è la volontà di accresce in tutti i modi la potenza, rappresenta l’anelito del superamento di ogni limite. Però anche la tecnica è l’ultima frontiera, perchè anch’essa deve completare il processo costruttivo di auto-affermazione sui grandi valori della cultura occidentale. Oggi, in Occidente, viviamo nel frammezzo tra l’umanità del passato e l’anelito tecnologico, ed il grande nodo al pettine che viene fuori appare come analisi della fede, ovvero capacità dell’uomo di capire l’altro-divino. La tecnica ha ereditato il compito che per millenni è stato del divino: il vero Dio, oggi, è la tecnica: il vero tecnico, ieri, era Dio! In tutto questo passaggio storico si coglie il momento fondante dell’altro versante, già evocato all’inizio della nostra conversazione: ovvero non il filosofo abitatore dell’Occidente, ma il filosofare nell’Occidente”. Professore, “la tecnica” ormai occupa le Sue più recenti speculazioni filosofiche! “La tecnica fondata sulla scienza moderna è divenuta ormai il più potente strumento di trasformazione del mondo: è la civiltà della tecnica che domina il mondo;all’inizio della nostra civiltà, Dio -il primo tecnico- crea il mondo dal nulla e può sospingerlo nel nulla. Oggi la tecnica -ultimo dio- ricrea il mondo ed ha la possibilità di annientarlo. Alla domanda che ormai mi viene rivolta sempre più spesso -<>- rispondo che essa è l’insieme degli strumenti e delle procedure con i quali gli esseri umani perseguono i loro scopi e costruiscono il loro mondo: per questo motivo, il livello tecnologico è il segno del progresso della civiltà, della qualità della vita materiale, ma anche dei progressi della conoscenza. Tuttavia, a partire da un determinato periodo storico in avanti, quella riguardante la tecnica è divenuta una questione controversa -in particolare nel secolo scorso- come reazione all’avanzamento della società industrializzata. Ciò che risulta maggiormente foriero di timori è la considerazione che la tecnica, da semplice strumento nelle mani dell’uomo, possa diventare un meccanismo con scopi propri. Legata a questo stato di cose vi è la domanda sempre più pressante: <>” Ripercorrere la vita e le opere di Emanuele Severino significa affrontare uno spettacolare viaggio nella storia della filosofia del ‘900: bresciano di nascita, si laurea a Pavia nel 1950 con Gustavo Bontadini -uno dei Maestri del pensiero filosofico italiano- discutendo una tesi su “Heidegger e la metafisica”;l’anno dopo ottiene la libera docenza in Filosofia Teoretica, da quel momento il suo campo speculativo per eccellenza. Dopo un periodo di insegnamento come incaricato all’Università Cattolica di Milano, nel 1962 vi diventa ordinario di Filosofia Morale -intanto nel 1964 era riuscito a sconvolgere il dibattito teoretico con il saggio “Ritornare a Parmenide”- fino al 1969 anno in cui viene allontanato dall’ateneo di Largo Gemelli a causa di idee e studi giudicati poco aderenti all’ortodossia che in quegli anni si respirava tra i Chiostri del Bramante;dal 1970 è Ordinario di Filosofia Teoretica a Venezia, dove è stato Direttore del Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze fino al 1989: è Accademico dei Lincei e -come giustamente ha affermato Massimo Cacciari- una delle più autorevoli personalità della cultura italiana ed europea. Solo lo spazio ridotto di questa rubrica impedisce di dare conto della sterminata bibliografia che fa capo a Severino, e spero che il Professore “perdonerà” questa riduzione bibliografica imposta da esigenze puramente giornalistiche: “La struttura originaria” (1957), “Essenza del nichilismo” (1972), “Gli abitatori del tempo” (1978), “Legge e caso” 1979, “Le radici della violenza”, 1979, “A Cesare e a Dio”, (1983), “Alle origini della ragione” (1989), “La guerra” (1992), “La gloria” (2001), “Nascere ed altri problemi della coscienza religiosa” (2005), “Fondamento della contraddizione” (2005), “La filosofia futura. Oltre il dominio del divenire” (2006), sono soltanto alcuni dei titoli che campeggiano nella sua ricchissima bibliografia, segno di una vivacità culturale ed intellettuale che non può non incantare. A questo punto, Professore, la domanda mi nasce spontanea: in che modo si è avvicinato allo studio della filosofia? “Anche per rispondere a questa domanda, correlata evidentemente alla prima che Lei mi ha posto, occorre partire dal dato che esiste una società umana, con persone che si occupano di filosofia, di pensiero, di storia della cultura. Ebbene, la mia biografia filosofica risale a qualche anno prima degli inizi degli studi accademici: mio fratello, classe 1921, scomparso giovanissimo durante la Seconda Guerra Mondiale, era studente alla Normale di Pisa;io studiavo dai Gesuiti qui a Brescia -dove ho percorso tutto l’itinerario formativo- e non ero ancora al liceo, ignoravo del tutto qualunque nozione filosofica e mio fratello mi parlava di un “certo” Giovanni Gentile: in questo modo la filosofia è entrata nella mia vita a 13-14 anni. Ascoltavo le sue discussioni su Gentile e la cosa singolare accadde che quando mi iscrissi a Pavia -ironia della sorte- incontrai un nutrito gruppo di “gentiliani” capeggiati dal Maestro Gustavo Bontadini che interpretava il suo pensiero, ovvero la grande apertura al mondo greco. Alla fine del 1947 iniziavo a preparare la tesi di laurea ed iniziavo ad interessarmi del filosofo tedesco Martin Heidegger, cioè vent’anni dopo la pubblicazione di “Essere e tempo”: così nacque la mia tesi di laurea “Heidegger e la metafisica”. Il filosofo di Baden si è rivolto al mondo greco anche in seguito alla sua frequentazione della filosofia neo-scolastica, agli stessi maestri che avevano permeato la sua formazione;come Gentile, anche lui prendeva posizione sul mondo greco. Insomma, con questi autorevoli maestri, mi avviavo a concludere il corso di studi universitari: i problemi dell’immortalità dell’anima, della vita dopo la morte, dell’analitica esistenziale sarebbero diventati il campo di ricerca di un’intera vita!”
La Provincia Cosentina, “A tu per tu con …” n. 9
Egidio Lorito, 09-12-2006

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