C’è da non stare allegri. Negli ultimi giorni abbiamo appreso che un autorevole istituto italiano di ricerca socio-economica ed un prestigioso quotidiano americano hanno tratteggiato a tinte fosche la situazione italiana: il primo, senza mezzi termini, ha definito una “poltiglia” la società italiana, accrescendo ancor di più l’immagine di una realtà che già in molti avevano descritto come disgregata, scollata, in dissoluzione. Il medium cartaceo statunitense avrebbe poi rincarato la dose additando al nostro Paese l’assoluta incapacità di rigenerasi, di difendere le proprie istituzioni, di non dare un’immagine positiva di sé all’esterno e -cosa ancor più grave- di non essere di buon esempio per la stessa realtà interna: tanto che il Presidente Napolitano -in America per un viaggio istituzionale- si è dovuto spendere non poco con la sua difesa di fiducia per far capire agli americani che le cose non stavano esattamente come riferito dalla stampa locale.

A me, francamente, pare che la situazione sia tutt’altro che “rose e fiori”: lo dico con molta nostalgia, con molta rabbia e -soprattutto- con molta preoccupazione per il semplice fatto che i guasti oggi presenti, in buona parte addebitabili ad una classe politico-amministrativa del tutto incapace di condurre le redini dell’amministrazione nazionale e locale, ce li ritroveremo belli e gravi nel nostro futuro ed in quello delle generazioni che ci seguiranno. Non prendetemi per apocalittico o catastrofico: chi di voi si reputa veramente contento di come vanno le cose nel nostro bel Paese? Siete convinti che questo “tirare a campare” potrà veramente durare a lungo? Avete certezze per il futuro? Non sto a demonizzare la classe politica -sia chiaro- né parlo di antipolitica dando così fiato ai tanti guitti parlanti che ad orologeria occupano la scena mediatica italiana per sparire nel nulla dopo poco tempo. Ciò che mi preoccupa di più è -invece- lo stesso atteggiamento di noi cittadini che, come se nulla fosse, continuiamo a subire questo assurdo divenire senza nessuna forma di indignazione, di protesta; senza nessun sussulto di orgoglio per come invece avveniva nei decenni e secoli passati quando proprio noi italiani eravamo famosi per l’attaccamento all’amor patrio. Cosa fu, il Risorgimento, se non il moto d’animo di un popolo che si sentiva tradito nella sua grande tradizione storica?! Ecco, cari lettori, oggi occorrerebbe un nuovo Risorgimento, forse anche un nuovo Rinascimento per far compiere alla nostra Penisola una vera palingenesi. Certo, mi spaventa l’idea di un Italia in mano ai soliti banditori di piazza e ad una generazione spesso vuota ed inconsistente!
Eco di Basilicata. Anno VI n. 24 15 dicembre 2007
Egidio Lorito www.egidioloritocommunications.com

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