A tu per tu con...

Era da tempo che avevo programmato una conversazione con lo scrittore nato a New York -collaboratore de “La Stampa”, “Shalom”, “Eco mese”, Nuovi argomenti”, “Panta”, autore di numerose e premiate pubblicazioni, tra cui spiccano le conversazioni con il Cardinale Carlo Maria Martini, al tempo Arcivescovo di Milano, o con l’allora Rabbino Capo Emerito di Roma Elio Toaff. Poi, la recente uscita di “Nonna Carla” (Bompiani, 2010) mi ha offerto lo spunto per accelerare il nostro incontro, merito soprattutto di Laura Valetti e Sarah Gaiotto del puntuale e cordiale ufficio stampa della Bompiani che hanno contribuito a realizzare un’intervista che si è in breve trasformata in una tranquilla chiacchierata, grazie all’innata disponibilità di uno scrittore capace, sin dall’approccio, di mettere a proprio agio l’interlocutore.

Cosa ha significato, per Alain Elkann, scrivere un diario intimo e personale come “Nonna Carla”? “Sono abituato a scrivere diari! La prima parte del libro è il mio diario: scrivo il diario con quello che mi colpisce di più, che mi sembra più importante. In questo caso, giorno dopo giorno, ho trascritto le emozioni, le sensazioni, i fatti di una famiglia -la mia, i miei figli Jaki, Lapo, Ginevra, mio fratello- mentre nostra madre, la loro nonna, era in ospedale, in una camera di rianimazione, poi in una corsia, poi ancora in rianimazione, cioè in un luogo da cui poi non sarebbe più uscita viva; è un po’sia il diario della malattia di mia madre e della sua morte sia di come tutti noi abbiamo vissuto in quel periodo, che in un modo  chi in un altro!”.
“Nonna Carla” è Carla Ovazza, classe 1922, discendente da una famiglia di banchieri di Torino, per cinque anni consuocera di Gianni Agnelli -Elkann è stato, infatti, il primo marito di Margherita Agnelli, dalla cui unione sono nati John, Lapo e Ginevra, cui il libro è dedicato- e per trentacinque interminabili giorni -nell’autunno del 1976, a 53 anni, vittima di un drammatico sequestro di persona organizzato da una banda torinese in stretto contatto con la cosca della ‘ndrangheta Racca-Facchineri, all’epoca specialista in sequestri di persona. “L’Avvocato” non ci mise molto a capire che la banda criminale puntava ai suoi soldi: prima cinque miliardi, poi 500 milioni, infine la liberazione e l’arresto dei criminali. Quell’episodio -un tempo interminabile, trascorso in una cascina nelle vicinanze del capoluogo piemontese, con la vittima rimasta incappucciata, con cera nelle orecchie e minacce di mutilazioni, tanto per rimanere al passo con i tempi- Carla Ovazza l’avrebbe poi riversato nel suo “5 ciliegie rosse. Una notte lunga trentacinque giorni”, pubblicato nel 1978.
Ho avuto l’impressione che Sua madre appaia, dalle pagine del libro, come un’amica, una compagna, una confidente e non solo come una madre nel senso comune del termine: è giusta questa lettura? “Non so! Di certo non era una madre “ex cathedra”, una madre che intimoriva. Come dimostrano le fotografie del libro, sono stato allevato -in fondo- proprio da mia madre, perchè mio padre viveva a Parigi ed io, invece, a Torino con lei: quindi si è assunta la responsabilità della mia educazione…”
Dieci anni dopo la sua scomparsa ci restituisce uno splendido e drammatico diario… “Non ho atteso dieci anni per scrivere, perché la prima parte la scrivevo di pugno in quel particolare momento della mia vita: dieci anni dopo, andando in Israele, ho cominciato a riflettere su cosa era successo. Dieci anni rappresentano un buon periodo di riflessione, sufficiente per elaborare un lutto così importante. Era morta nonna Carla, si era spento un capitolo fondamentale della mia vita, però è nato nonno Alain, cioè sono nato io come nonno, perché -intanto- ho avuto tre nipoti... Quindi, una vita che era a monte di me si è chiusa e se ne è aperta una a valle: credo che il destino della vita sia certamente quello di rispettare i propri morti, come ho fatto in questo libro e tenerne conto, ma anche andare avanti e vivere il proprio presente. Ed il mio presente, ora, è quello dei miei figli e dei miei nipoti”.
Lei è un giornalista e scrittore di successo, ha origini importanti, possiede un’eleganza ed uno stile che fanno presa sul pubblico e lo conquistano facilmente: è stato difficile calarsi nel ruolo di “semplice figlio”?  “Assolutamente no!!! Perché nella scrittura i ruoli non contano! O sai scrivere o non sai scrivere. Non contano i titoli, la fama. Nella scrittura c’è un’altra regola che è molto affascinante: per ogni libro, per ogni articolo che scrivi devi ricominciare tutto d’accapo. E un lavoro particolare in cui ti rimetti in gioco tutti i giorni: uno scrittore è un testimone della sua epoca, di ciò che gli accade, del momento in cui vive, deve testimoniare e quindi può scrivere dei romanzi, dei racconti di fantasia, degli episodi autobiografici, oppure dei diari. Il diario personale di uno scrittore è anche pubblico, nel senso che il pubblico, in fondo, si rivolge ad uno scrittore per leggere e per capire delle cose che magari pensa, sente ma che non sa esprimere. Lo scrittore è colui che esprime, attraverso fatti personali, delle piccole vicende, dei problemi che poi sono universali perché appartengono a tutti. Mentre uno è di “destra” o di “sinistra”, è un artista o non lo è, è depresso o e felice, insomma mentre mille situazioni possono esistere, tutti hanno una mamma e prima o poi tutti la perdono. Tutti hanno una famiglia, hanno dei fratelli, delle sorelle… Lo scrittore restituisce dei sentimenti, delle impressioni che sono propri, ma che molto spesso, in temi che sono universali, sono condivisi e discussi da molti”.
Il libro è dedicato ai Suoi tre figli, Jaki, Lapo e Ginevra. Che rapporto ha con loro? “ Ho dei rapporti bellissimi con loro. Hanno il fascino di essere diversi l’uno dall’altro: per un padre è più interessante seguire dei ragazzi che hanno educazioni diverse, inclinazioni diverse. Però, nello stesso tempo, hanno un ceppo comune, un filo rosso che li unisce, perché ci sono dei valori, dei modi… In questa unione e diversità sono molto attraenti come figli. E, certamente, potere avere dei figli interessanti, vitali è una fortuna straordinaria; poi Jaki e Ginevra sono anche sposati con ragazzi simpatici, hanno dei figli molto carini. E’ una parte della mia vita che mi dà grande soddisfazione”.                
Frammenti di memoria che Elkann ci restituisce nel loro incomparabile moto di sentimenti: dai piccoli episodi di vita quotidiana ai grandi avvenimenti che hanno caratterizzato un fine intellettuale del nostro tempo: questo diario è qui, accanto a noi, affinchè  tutti possano trarne spunto per molti aspetti comuni: “Cara mamma, ci siamo amati per cinquant’anni con una grandissima passione. E’ stata dura, molto sofferta, ma tra noi c’era qualcosa di speciale. Cercherò di non deludere le tue aspettative, che non erano poche, lo so. Non sarà facile”. Buona lettura!           

L’Eco di Basilicata, Calabria, Campania 
anno X n. 6 - 01 aprile 2010                       
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