Chiarelettere, Milano 2010, pp. 185, € 14,60

Questa recensione merita di essere iniziata partendo dalla fine del libro stesso: una sorta di lettura “inside out”, alla rovescia, per dirla con gli inglesi. Proprio dai <<Ringraziamenti>>: “la gratitudine va a magistrati come Giancarlo Capaldo e Nicola Gratteri e al sostituto procuratore Galileo Proietto della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano. La riconoscenza a Maurizio Belpietro e Ferruccio De Bortoli, senza i loro consigli questo libro non sarebbe uscito. L’incoraggiamento va a tutti i figli dei collaboratori di giustizia perché sappiano costruire ciò che meritano. La speranza ai figli di coloro che vivono ancora nelle organizzazioni criminali perché conoscano l’adrenalina del vero coraggio. Il nostro grazie va a Giuseppe Di Bella e Filippo Barreca per il vero coraggio, a investigatori come Giovanni Capello e Barbara Reggiani per la meticolosità delle sbobinature e a tutti coloro che si sono adoperati per l’uscita di questo libro e che per motivi diversi non possono comparire. A Camilla e Valentina per la fiducia  e la pazienza”.

A pochi giorni dall’uscita, “Metastasi” si sta rivelando non solo un caso editoriale ma anche uno più ampiamente giudiziario, sociale, economico… politico, grazie al complesso delle rivelazioni che promanano, come un fiume in piena, dalle sue pagine: molto già si sapeva, altro è stato aggiunto.
Gianluigi Nuzzi è inviato di “Libero”, sulle cui pagine si occupa dei casi più intrigati di cronaca giudiziaria, dopo le esperienze a “Panorama” e “Il Corriere della Sera”: dal 1994, infatti, segue le più rilevanti inchieste giudiziarie con implicazioni politiche e finanziarie e dai suoi scoop sono nate nuove indagini da parte di diverse Procure; da qualche mese è autore de “L’infedele”, il programma condotto da Gad Lerner su La7; già lo scorso anno aveva fatto parlare di sé dando alle stampe, in ben 250.000 copie, quel “Vaticano Spa” tradotto in 14 lingue. In questa nuova e delicata inchiesta, il giornalista milanese è accompagnato da un giovane collega di Iseo, nel bresciano, esperto in inchieste giudiziarie con profili finanziari e fiscali: Claudio Antonelli è anche  responsabile delle pagine di economia dello stesso quotidiano diretto da Maurizio Belpietro. Ma c’è di più: è un ex Carabiniere, circostanza non di poco conto viste le vicende con cui Nuzzi si è imbattuto. “L’occasione capita per caso nell’inverno del 2009, nel vivo del lavoro al giornale. Bisogna coglierla al volo per catturare una storia che altrimenti ripiomberebbe nel buio. Sono alla mia scrivania, un tardo pomeriggio, quando squilla il telefono. E’ la segretaria: <<Le passo un signore, è una cosa strana>>. Se supera il primo filtro, la telefonata merita. Arriva il collegamento alla cornetta e, subito, l’accento meridionale: <<Buonasera, sono un collaboratore di giustizia>>. Un respiro, una pausa. E’ una voce bassa, senza emozione, senza timbro. Riprende: <<ecco, vorrei raccontare la mia storia>>. Questo libro parte dalle confessioni esclusive di Giuseppe di Bella, uno dei pochi uomini della ‘ndrangheta ad aver lasciato l’organizzazione, dopo mezzo secolo di fedeltà assoluta, per una scelta di non ritorno: collaborare con lo Stato.” 
Gianluigi Nuzzi entra, da perfetto cronista giudiziario, nelle pieghe più oscure di un fenomeno criminale che per anni opinione pubblica e media pensavano essere relegato entro i confini calabresi, nella sola provincia di Reggio Calabria e, forse anche, nei limiti territoriali di quella montagna sacra agli stessi ‘ndranghetisti che è l’affascinante e misterioso Aspromonte: si, proprio quell’ultimo acrocòro dell’Italia peninsulare che, almeno dal XIX secolo, evoca immagini di brigantaggio, di Garibaldi, di sequestri di persona, di latitanza, di assoluta impenetrabilità, di devozione religiosa, con quelle cime che sfiorano i duemila metri ma che sono poi, magicamente, circondate dal mare praticamente da tre lati. Già: il mare, quello del mito! Ma questa è un’altra storia…
Quella che Nuzzi ed Antonelli raccontano è, invece, molto più terrena: dieci intensi capitoli che si dipanano tra nuove ambientazioni (“Giù al Nord”), riti di affiliazione (“L’iniziazione”), misteri incredibili (“Versace è vivo?”), nuovi rapporti (“La ‘ndrangheta fa politica”), salti di qualità (“Come si è arricchita la ‘ndrangheta”), collegamenti con altre centrali criminali (“Le altre mafie”), nuove frontiere (“Libero mercato illegale. Estorsioni, furti, cocaina” e Il traffico d’armi”). Sino all’ “Epilogo”, nel quale tra un contratto con lo Stato e la sottovalutazione di questo fenomeno mafioso, gli autori ci restituiscono uno spaccato tetro ed assolutamente allarmante di come un fenomeno mafioso, quasi familiare ed arcaico, si sia trasformato nel corso dell’ultimo trentennio nella più potente -e pericolosa- holding del crimine mondiale, capace di poter contare, secondo i dati Eurispes riportati, su di un fatturato di circa 45 miliardi di euro annui, ovvero il 3 per cento del prodotto interno lordo, il celebre Pil! Il tutto contornato da una violenza efferata, da spietati omicidi per eliminare fastidiosi avversari interni e pericolosi concorrenti esterni; da trame oscure ed intrecci al limite dell’incredibile tra criminalità e politica ad alto livello, giusto per assicurasi protezioni ed assicurare protezioni in ogni settore, compresa un’elezione in Parlamento di un industriale delle armi prima rapito, poi liberato e fatto eleggere nella massima assise della sovranità popolare italiana al solo scopo di favorire gli interessi di questa mafia calabrese, trasformatasi, ormai, in mafia “mondiale”. Sino alla ricostruzione, sempre nelle parole del pentito Di Bella, di un misterioso, agghiacciante e quanto mai incredibile tentativo di trafugare l’urna contenete le ceneri di un calabrese che negli anni era divenuto uno degli stilisti più conosciuti, osannati ed imitati al mondo: Gianni Versace. “Dopo la morte di Versace a Miami Beach, nell’estate del 1997 -racconta sempre il pentito Di Bella- la ‘ndrangheta, con un anticipo di 150 milioni di lire, ci aveva ordinato di rubare l’urna con le ceneri dello stilista, solo che la tomba era protetta da catene, telecamere, allarmi e guardie giurate. Siamo andati al camposanto con due macchine la notte di San Silvestro del ’97 (…)”.
Pagine che si leggono tutte d’un fiato, perché ricostruiscono, con dovizia di particolari -a volte agghiaccianti- episodi che sono entrati a pieno titolo nella storia criminale d’Italia, che pensavamo aver rimosso almeno dalla memoria collettiva ma che, invece, rimangono a pesare come macigni. Come nei casi dei sequestri di persona, il capitolo forse più tragico -a livello di impatto sull’opinione pubblica- di cui la ‘ndrangheta si è resa protagonista assoluta. “Dei 576 sequestri di persona consumati in Italia in vent’anni, dal 1970 al 1991, oltre 200 portano la firma della ‘ndrangheta. Ci sono vittime che vengono tenute a lungo prigioniere per far salire il prezzo del riscatto, altre che vengono uccise dopo pochi giorni e altre ancora usate per fini differenti. Più di trenta spariscono, vengono trucidate ed uccise (…)”.
Pagine nere, insomma, che facilmente si tingono di rosso, come il  sangue versato da decine di caduti in quell’interminabile stagione che vedeva contrapposti i clan calabresi; o molto più semplicemente, come il colore di fiammanti Ferrari che sembrano essere l’orpello immancabile nei patrimoni di numerosi boss, per i quali ostentare potere criminale e sfrenata ricchezza personale sembra essere una costante sin troppo stridente.
Ad aggiungere spessore e suspance alle pagine, troviamo anche un’ “Avvertenza” che più di ogni altra parola dà il senso del peso di queste pagine: “La prima copia di questo libro è già stata consegnata con esposto al procuratore Giancarlo Capaldo, capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma. E’ nostro dovere, infatti, non solo informare ma anche trasmettere con qualche anticipo alla magistratura tutte le notizie di rilevanza penale che possono fornire un contributo alle indagini. Nel corso dei capitoli vengono denunciati gli esecutori di reati ancora sconosciuti e svelati i possibili mandanti di omicidi rimasti insoluti. Il lettore pertanto ci scuserà se copriamo con una sigla le identità che potrebbero rivelarsi significative ai fini di eventuali inchieste”. Forse Nuzzi ed Antonelli sono soltanto all’inizio. Forse?

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