Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2009, pp. 101, €12.00

“Lo Stato a pendolo oscilla tra la sua presenza e la sua assenza dal mercato. Nel Novecento ci sono stati gli assertori della sua assenza e gli assertori della sua presenza. La politica, che dovrebbe guidare le oscillazioni del pendolo, ha esagerato in un senso e nell’altro. Oggi tutto ciò non è più possibile. Se la politica vuol far sopravvivere il mercato e occuparsi di coloro che quest’ultimo lascia ai margini, non può teorizzarne né solo la presenza, né solo l’assenza, ma deve oscillare a seconda delle situazioni, avendo come faro orientatore non la propria sopravvivenza, ma quella del mercato che, tra l’altro, le dà risorse necessarie per occuparsi dei più deboli. In certi casi, dunque, deve essere presente, è il caso della ricapitalizzazione delle banche; in certi altri deve oscillare verso l’assenza, è il caso dell’intervento diretto nell’economia, aiutando aziende che rappresentano solo un costo per la comunità”.

E’ il nucleo centrale del ragionamento portato avanti da Paolo Del Debbio, studioso dei rapporti tra etica ed economia: docente di Etica Economica all’Università IULM di Milano, dirige la rivista “Etica ed Economia. Materiali dalla tradizione cristiana”;  dopo essere diventato noto al pubblico televisivo per la conduzione di una striscia televisiva su Italia 1 e Rete 4 dal titolo “Secondo voi”, oggi conduce “Mattino Cinque” il contenitore mattutino della rete ammiraglia di Mediaset, in cui continua ad affrontare tematiche di stretta attualità socio-economica; consulente nel campo della comunicazione, ha pubblicato “Global. Perché la globalizzazione ci fa bene (2002) e Secondo voi (e secondo me) (2008).
Risale molto nel tempo, Del Debbio, per dimostrare che uomini e istituzioni hanno iniziato ben presto ad occuparsi di problematiche politico-economiche, come appare chiaro nel brano citato che appartiene all’Anonimo di Giamblico, un autore neoplatonico e neopitagorico del IV-III secolo a.C. . Si legge, infatti, in quest’antichissima testimonianza che “prima conseguenza di una condizione ben regolata dalle leggi è la fiducia, che reca grandi vantaggi a tutti gli uomini ed è nel novero dei beni importanti: a causa sua, infatti, il denaro diventa comune, e così, anche se è poco, tuttavia è sufficiente, perché circola; in assenza di essa, invece, è insufficiente anche se è molto. E le fortune del denaro e del patrimonio, positive e non, grazie alla legalità sono governate nel modo più vantaggioso per gli uomini: i fortunati, infatti, si giovano di questa in tutta sicurezza e al riparo da insidie, mentre gli sfortunati ricevono sostegno dai fortunati grazie alla facilità di rapporti e alla fiducia che dalla legalità derivano (…) quando dominano la legge e l’ordine gli uomini sono liberi dall’occupazione più sgradevole e attendono a quella più piacevole: occuparsi delle faccende pubbliche è infatti sgradevolissimo, dei propri affari, invece, piacevolissimo. Quando poi cedono al sonno, che è per gli uomini riposo dai mali, vi si abbandonano senza timori, senza affanno nei lor pensieri, e quando ne escono provano altre sensazioni simili, e non presi da terrori improvvisi (…)”.            
La ricerca di Del Debbio è, dunque, chiara: analizzare l’attuale scenario di crisi non solo nel contesto contemporaneo quanto in un più complessivo ricorso storico, anzi in una lunga serie di ricorsi storici che affondano le origini proprio nella culla della nostra civiltà e poi, di seguito, in tutti i momenti in cui si sono verificate delle fratture storiche, i c.d. “clevages” , per dirla con un linguaggio caro ai politologi. Insomma, riprendendo il pensiero di Domenico Musti, “(…) la crisi prepara spesso una svolta rivoluzionaria: passaggio, certo, dall’età dell’aristocrazia feudale e dalle sue forme economico sociali alla nascita di espressioni critiche sulla società (…) ma anche, non senza qualche analogia, transizione dal momento politico al momento cosmopolitico nella Grecia dell’età tardo o postclassica. Nell’uno e nell’altro caso si tratta di un movimento di crescita, verso la stagione della ricca borghesia nell’Europa illuministico romantica come, nel mondo greco, nel passaggio all’ellenismo” .
Del Debbio pone nelle sue pagine un interrogativo che suona, più o meno, in questi termini: per quale motivo, ciclicamente, la storia economica del mondo presenta dei fenomeni di complessità tra valori umani, valori sociali, pubblici poteri e regole di varia natura, al punto da arrivare ad una vera e propria rottura dell’equilibrio che fa preludere ad un vero e proprio cambiamento? Insomma: perché si arriva alla crisi? “probabilmente la risposta valida, come spesso accade, è la più semplice che si possa dare: è connaturale a questo impasto di non raggiungere mai un equilibrio stabile, essendo che al suo interno ci sono elementi che non possono stare disgiunti, ma che, nella loro unione, creano attriti, conflitti di interesse e, quindi, instabilità della società nella quale quell’impasto vive”.         
Ma cosa teorizza il libro di De Debbio? Proprio l’idea di uno Stato paragonato ad un pendolo con il suo celebre moto che ne ha generato il nome, “dove il pendolo è lo Stato stesso, lo spazio entro il quale si muove è la libera economia di Mercato, il punto dove il pendolo è attaccato sono le Istituzioni sede della decisione politica, i limiti delle oscillazioni sono indicati da ciò che il Novecento ci ha insegnato sui rapporti tra Stato e mercato, i punti di oscillazione massima sono da una parte la presenza dello Stato in economia e, dall’altra, l’assenza dello Stato dall’economia”.
Condensate nelle pagine scritte con linguaggio piano e comprensibile a tutti, Del Debbio prova ad analizzare gli elementi portanti della c.d. crisi, l’eredità che il Novecento ha lasciato sul terreno dei rapporti tra Stato ed economia per puntare, poi, sul terreno più spiccatamente filosofico e giuridico, cioè se ed in che modo la giustizia sociale ed il libero mercato siano assimilabili per una convivenza duratura o -invece- chiamati a rimanere antagonisti nel tempo. Senza dimenticare i  rapporti tra Stato e mercato che rimangono perennemente a guardia di queste celebri oscillazioni. Con noi privati cittadini chiamato a vigilare proprio sulla loro ampiezza, sperando che non superino il punto di non ritorno… 

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