Mondadori, Milano 2009, pp. 200, € 17,50

“Il Sud si sta svuotando di anime, culture e popolazione, tra emigrati e denatalità; il Sud va raccontato per intero, non solo una città o un tronco, e non solo per la malavita ed il malaffare, come invece si usa in saggistica ed in narrativa. Non ho voluto scrivere la storia del Sud né un’inchiesta sul Sud, o un romanzo ambientato nel Sud, e nemmeno dare la diagnosi o suggerire la terapia; ma ho voluto visitare, rappresentare, perorare il mito del Sud. Nel mito è il fascino del Sud”.
Con questo incipit, Marcello Veneziani presenta il suo ultimo lavoro, resoconto di un odierno globetrotter che invece di arrivare sino ai confini del mondo, ha preferito girovagare vicino casa -lui che è pugliese di origini- e raccontare le cinque Regioni che ha attraversato (Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Campania) con tutto quell’aulico carico di tradizioni millenarie come di ingombrante presente, tra scempi ambientali, malaffare, criminalità e fughe di cervelli.

Ne è nato “un viaggio civile e sentimentale” che il lettore dovrebbe compiere almeno per provare se, effettivamente, quest’area geo-sociale d’Italia sia così diversa dal centro-nord; un viaggio, quello di Veneziani -editorialista de “Il Giornale” e di altri quotidiani e settimanali, fondatore e direttore di settimanali, riviste, case editrici e curatore di opere di filosofia, storia e cultura politica- che dovrebbe servire -almeno nelle sue intenzioni- per liberare il Sud stesso dal fatalismo della decadenza che porta sino ad abbandonarlo: ed ecco che questo viaggio dovrebbe servire soprattutto per compiere uno strappo, una rottura con un certo passato per riscoprire la vera identità. Non è facile abbandonare il Sud, non è facile lasciarsi alle spalle secoli di civiltà, di storia, di tradizioni, di culture che lo hanno attraversato e si sono stratificate sino all’inverosimile, restituendoci un’immagine poliedrica come da poche parti capita di ammirare. Ma è innegabile -e parlo da meridionale- che al Sud qualcuno ha veramente fatto a gara per dimenticare tutto quanto poteva essere dimenticato, per bloccare tutto quanto poteva essere bloccato e per distruggere tutto quanto poteva essere distrutto, partendo proprio dall’habitat naturale, da quel paesaggio che, dalla notte dei tempi, aveva invece attirato ogni sorta di visitatori dagli angoli più sperduti di quello che un tempo si chiamava “Vecchio Continente”, per guidarli nel mitico “Grand Tour”.  Veneziani sa essere evocativo come se avesse scritto un romanzo, tanto forti sono le immagini che ci restituisce dalle “cinque terre” che ha scelto come location del suo personalissimo film sul meridione d’Italia: ed infatti, in ognuna delle cinque Regioni attraversate riesce a cogliere quelle tipicità, quelle sfumature, quei sapori e quegli odori come se avesse utilizzato ben altri strumenti comunicativi. E l’obiettivo del suo lungo racconto è proprio il lettore che -spesso- conosce poco o non conosce affatto il Mezzogiorno, o -peggio ancora- lo conosce solo per la gran mole di notizie di cronaca che lo dipingono ben più nero di quanto effettivamente sia. Allora appare chiaro perché Veneziani debba necessariamente rivolgersi a chi non è meridionale, a chi abita un’altra Italia: “parlando del Sud so di parlare ad ogni uomo: perfino chi non è del Sud vede nel Sud il suo luogo di riposo, di ricarica, di vacanza. C’è una forza di gravità o di attrazione che spinge verso Sud anche chi non vi è nato; c’è sempre un famigliare, un’origine, un ricordo, un richiamo che ti porta a scendere. Anzi, più il pianeta si ritira nei piani alti, più la globalizzazione coincide con la settentrionalizzazione del mondo, più il Sud diventa il luogo della vita autentica, il vivaio dell’umanità, il pozzo profondo che disseta le nostre radici. Il movimento è verso Nord: al Sud riposa l’essere”.
Scendo all’estremo sud dell’Italia continentale. Scrivo dalla Calabria e così la lente d’ingrandimento non può non cadere sul capitolo dedicato alla mia Regione, anche se la presenza di sangue lucano ed il fatto di vivere all’ ”estremo nord” della penisola calabrese, mitiga di molto tanti luoghi comuni su questa terra. Ma scrivo, soprattutto, di Calabria e queste pagine, pur se amare, sono per me pane quotidiano: “basta oltrepassare con Pavese la soglia di diffidenza per incontrare l’ospitalità radicale dei calabresi e nella cadenza delle donne con le anfore in testa rintracciare con lui i segni persistenti della matrice ellenica. Finì con l’amare i mari del Sud e perfino l’aspra Calabria lui, il piemontese delle Langhe che sognava l’America. Perché il cuore del mondo, per Pavese, è il paese; il mio, il tuo, a Nord come a Sud”. Utilizza il richiamo ad un grande intellettuale che calabrese non era (come non lo erano né Giuseppe Berto nè Guido Piovene, né i tanti che questa terra hanno visitato ed amato dalla notte dei tempi…) Marcello Veneziani, per presentare la sosta calabrese di questo suo viaggio sentimentale: “Calabria Saudita. Magna Grecia, Parva Arabia”: pagine dense di richiami storici e paesaggistici, vissuti tra la Storia ed il Mito, tra Realtà e Leggenda; paesi dello Jonio e del Tirreno attraversati in lungo ed il largo; le soste a Reggio Calabria con la provocazione di liberare i Bronzi di Riace -“Vanamente ho proposto di avere il coraggio di riportarli alla luce, davanti al mare, come la sirenetta di Copenaghen, diventando il simbolo della città, visibili a chi arriva dal cielo, dal mare, dalla strada e dalla ferrovia. Liberateli dal museo, dove ormai non va quasi nessun a trovarli, portateli fuori; ne parlerebbero tutti, diventerebbero un simbolo bello di rinascita e di legame con il mare e con il più nobile passato, la Magna Grecia, davanti al più bel chilometro d’Italia, secondo quel ruffiano di D’Annunzio, tra gli incantesimi della fata Morgana, la mitica reggina con una e con due “g”-  l’immancabile visita a Soveria Mannelli, dove “ci sono idee come se piovesse” ed un Sindaco, Mario Caligiuri, che lo è “sin dalla nascita: quando agli altri bambini spuntavano i dentini, a lui spuntavano gli assessorati…”E -drammatiche- le pagine su tutto ciò che proprio non funziona in Calabria. La rabbia di Marcello Veneziani è, praticamente, la mia che alla Calabria continuo, nonostante il pessimismo di cui sopra, a dedicare energie ed impegno: “la Calabria è ancora ghermita in quelle fauci mitologiche. Svolterà quando smetterà di considerarsi luogo terminale e caudale: qui non finisce la penisola o il continente ma comincia. Se la fine si scopre inizio, allora è possibile la rinascita. La Calabria deve liberarsi da questa sindrome terminale, da ultima spiaggia, remota allo Stato e alle leggi, a Roma e a Bruxelles. Non è un pensiero simbolico, psicologicamente decisivo per mutare atteggiamento e predisporsi a un fruttuoso protagonismo. Futurismo calabrese”.  Lo spero come “cittadino” di questa bella e sfortunata terra, perché -almeno- il diritto a sognare non me lo potrà negare nessuno!

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