Citato tra coloro che hanno contribuito al libro con interviste e recensioni

“Non potrei indicare la data del giorno in cui vidi per la prima volta la neve. Ma il momento si. Ero bambino, all’asilo di Lavis, forse avevo quattro anni.

Quel mattino le nubi erano alte nel cielo, vedevo solo nubi, le rocce della Paganella e gli alberi del giardino, poi le nuvole si abbassarono a toglierci ogni visione. Improvvisamente un’onda plumbea parve attraversare la valle come un segno di immensa potenza, ebbi paura, tutti eravamo impauriti, forse anche le suore che presero a correre in mezzo a noi bambini, gridandoci di stare fermi. Dopo alcuni minuti il vento si placò e nell’aria vedemmo dondolare foglioline bianche: la neve!

Allora cominciammo a correre a braccia alzate con le mani protese verso l’alto, fu subito aria di festa e questo è il ricordo della mia prima neve”. Pochi impersonano, ancor oggi, la passione e l’amore per la montagna e la neve come Rolando “Rolly” Marchi: è un’icona di quel mondo fatto di contemplazione, salite e discese, fotografie, libri, passioni, mondanità ed impegno benefico; di quel mondo che ruota attorno a quelle superbe elevazioni che sono le montagne. Certo, le sue sono le impareggiabili Dolomiti, ma il discorso può agevolmente estendersi a qualunque “elevazione” del Pianeta e la prova me la fornisce questo monumento vivente in persona quando lo risento -dopo qualche anno- in occasione di questa conversazione: “ah la Calabria: voi avete la Sila…”. Lo confesso: nutriamo la stessa passione viscerale! E questo glielo scrissi pubblicamente un paio d’anni orsono in occasione del Commiato al termine delle mie “Tracce di Calabria”, quando inserii il suo nome in un ristretto gruppo di aficionados, definendolo come il grande vate del “circo bianco”. Rolando Marchi -affettuosamente “Rolly” per un gruppo di sciatrici universitarie toscane che allenava sul Monte Bondone durante una pausa bellica del 1942 (“il nome non mi piaceva, gli amici trentini ironizzavano, ma poi ha prevalso il diminutivo”)- è nato a Lavis, otto chilometri da Trento, il 31 maggio 1921: suo padre Ciro era un enologo ed irredentista, amico di Cesare Battisti, sua madre Emma un’insegnante; figlio unico, ha frequentato il liceo “Prati” a Trento e si è laureato in Giurisprudenza a Bologna, discutendo la tesi “Responsabilità civile in materia di sport”. E’ universalmente considerato uno dei più autorevoli conoscitori del pianeta montagna: i suoi prossimi ottantasei anni -splendidamente portati- sono un inno alla vita, alle passioni, all’amore… per la neve, s’intende: “cosa vuoi che ti dica: uno che ogni mattina, alzandosi, si trovava lo splendore della Paganella e dei Monti Pallidi (Le Dolomiti, n.d.a.), non poteva che innamorarsene. Da quel momento, tutte le successive tappe della mia vita sono state scandite dal ritmo della montagna e di quella soffice coltre bianca che vi si deposita sopra. Ho fatto la guerra nei Granatieri di Sardegna, sono stato ferito in combattimento, decorato, fatto prigioniero in Africa, primo ufficiale a tornare a Trento con le truppe Alleate nel maggio 1945: questo segmento di vita l’ho raccontato nel mio romanzo “Il silenzio delle cicale” recensito in modo lusinghiero da Indro Montanelli (“mi sono coricato e ho preso in mano il libro per vedere come cominciava e poi non l’ho più lasciato fino alle tre di notte!”). Nel dopoguerra, a Trento, ho organizzato “La stagione dei Concerti”, rivelando alla città personalità quali Benedetti Michelangeli, Franco Mannino, Luciano Sangiorgi, Il Quartetto Italiano e la mezzosoprano Gianna Pederzini: da quell’esperienza nacque il sodalizio del celebre Coro della SAT (Società Alpinisti Tridentini) con l’ancor più celebre Benedetti Michelangeli; nello stesso periodo raccoglievo ed avviavo allo sport ragazzini smarriti, orfani, radunati poi da un sacerdote, don Ziglio, in una Casa di Rieducazione. Già nel 1939 avevo fondato a Trento la mia prima società sportiva, il Gruppo Sportivo Cesare Battisti, tuttora attivo: da quell’esperienza è nata nel gennaio del 1950 anche la 3-TRE, gara di sci che allora si disputava intorno a Trento. Appunto 3-TRE: discesa libera sulla Paganella, slalom speciale a Serrada e slalom gigante sul Monte Bondone; oggi si disputa durante le vacanze di Natale a Madonna di Campiglio ed è una delle tappe più esclusive, tra sport e mondanità, del circuito della Coppa del Mondo di Sci. Finita la guerra, fondai le Scuole di Sci del Monte Bondone (1945-46) e della Paganella (1946-47) mentre nel 1958 ho inventato, con l’amico Mike Bongiorno, il Trofeo Topolino che in pochi anni divenne la gara per ragazzini più importante del mondo: da quella fucina sono passati nomi del calibro di Arnold Senoner, Helmuth ed Eberhard Schmalz, Teo Fabi, Gustav Thoeni, Ingmar Stenmark, Piero Gross, Mark Girardelli, Pirminn Zurbriggen, Alberto Tomba, Claudia Giordani, Deborah Compagnoni, Ivica Kostelic, Isolde Kostner. Nel 1959 promuovevo la prima gara di KL -il Kilometro Lanciato- sul Monte Bianco a Courmayeur, manifestazione diffusasi poi nel mondo intero: anche lo Slalom Parallelo di Natale è una mia creatura, prima edizione al Passo del Tonale nel 1974”. Neve, neve e ancora neve: che gioia! “Ma non solo! Vista l’attualità, ho avuto anche l’idea della sfida della Coppa America di vela: preparai il progetto e lo presentai all’avvocato Agnelli che ne fu entusiasta concedendomi il primo finanziamento di 600 milioni di lire; nel ciclismo, nel 1955, costituii il Gruppo Sportivo Chlorodont ed uno dei miei pupilli, Gastone Nencini, vinse il Giro d’Italia nel 1957. Come alpinista ho scalato, in solitaria, il Cervino quindi il Popocatepetl, le Grandes Jorasses, il Monte Bianco e un centinaio di impervie pareti dolomitiche. Ho legato alla mia corda Dino Buzzati -mio indimenticabile amico- per scalare la Croda da Lago, l’ultima ascensione dello scrittore bellunese nel 1966: e miei compagni di cordata sono stati Cesare Maestri, Walter Bonatti, Bepi De Francesch -con il quale nel giorno del suo cinquantesimo compleanno ho scalato il sesto grado dello Spigolo Piaz al Sass Pordoi- e il celebre Manolo, compagno nel 1995, sulla Punta Fiammes a Cortina. Sono presidente onorario della Scuola di Roccia “Giorgio Graffer”, la più nota in Italia”. Sei un giornalista e scrittore di lungo corso, apprezzato per le tue doti tecniche e poetiche: “posso vantare di essere il solo giornalista al mondo che ha seguito tutti i Giochi Olimpici Invernali dal 1948 a oggi: con quelli estivi ne ho visti e raccontati ben 21 (“non è un vanto, si tratta di anagrafe e di salute”, come ebbe a dire anche Indro Montanelli). Finta modestia a parte, dopo la laurea, nel 1950 lasciai Trento per stabilirmi a Milano, chiamato da un amico a fare l’assicuratore: l’anno dopo Gianni Brera, letto un mio articolo spiritoso pubblicato su un numero unico dell’Università, mi invitò alla Gazzetta dello Sport dove ho scritto fino al 1956 per poi passare, con lo stesso Brera, al nuovo quotidiano Il Giorno; attualmente scrivo sulla pagina culturale de Il Giornale e sono romanticamente tornato alla Gazzetta dello Sport. Da una quindicina d’anni pubblico un’apprezzata rivista semestrale, La buona neve. Nel 1957 mi rivelai come scrittore vincendo con il mio primo racconto il Premio St. Vincent: poi ho pubblicato quattro romanzi -Un pezzo d’uomo (Longanesi, 1967), Le mani dure (Vivalda, 1996), Ride la luna (Mursia, 1979) e il Silenzio delle cicale (Dolomia, 1995)- e due libri di racconti, Il tram della vita e Neve per dimenticare (Dolomia, 1995). Ride la luna è stato premiato al Campiello mentre Le mani dure ricevette un Premio-Coni. Nel dicembre 1997 ho dato alle stampe Parole bianche, una raccolta di articoli e ritratti pubblicati nei dodici mesi precedenti su La Gazzetta dello Sport, Il Giornale, Il Gazzettino e alcuni periodici. Nel 2000 Mondadori ha pubblicato il romanzo “E ancora la neve”, libro che ha ottenuto e continua ad avere lusinghiere attestazioni e considerevole successo e l’anno scorso ho pubblicato “Se non ci fosse l’amore” (Gruppo Editoriale il Saggiatore): tredici racconti, un mondo intero conservato nella scatola del tempo: un mondo popolato di personaggi che affollano la scena con le loro storie di vita; alcuni conservano i tratti della realtà, come Dino Buzzati -amico e maestro dei tempi lontani- o mia madre, riferimento costante nella mia vita. Leggeri e malinconici, lucidi e tesi, questi racconti delineano un affresco multiforme di storie vicine, disvelano l’animo di gente solo all’apparenza comune. Storie d’amore, di avventura, di tenerezza, di incontri fortuiti che d’improvviso cambiano per sempre il corso delle cose”. Per non parlare dell’impegno complessivo sul fronte culturale! “Ho organizzato nel 1985, a Cencenighe, la prima mostra antologica delle opere pittoriche e disegni di Dino Buzzati curandone un importante catalogo; apprezzata iniziativa è stato anche il Premio Agordini D’Oro- I Discreti, manifestazione riservata a persone distintesi per i loro notevoli meriti, ma riservate, cioè “discrete”. Nel 1956 sono stato Speaker Ufficiale dei Giochi Olimpici di Cortina d’Ampezzo e nel 1958 raccontai in televisione le cronache dei Campionati del Mondo e di altre gare mondiali; ho condotto anche due fortunate trasmissioni televisive a puntate “Lo sci è uno sport fantastico” con Zeno Colò e “Invito allo sport” (1965-1966 ). Dimentichi che sono anche buon fotografo (“di classe internazionale”, scrisse Dino Buzzati): ecco la pubblicazione di libri per Olivetti, Parmalat e altri, dai titoli Dove lo sci, Messico 68, Azzurrissimo, Sapporo ‘72: l’anno dei nostri”. Sport, cultura, mondanità: non poteva mancare l’impegno benefico: “nei primi mesi del 1998 ho preso a cuore l’iniziativa di trovare i fondi necessari alla costruzione di un ospedalino a 4850 metri di quota per i 13.000 nomadi del Tibet che da secoli vivono soltanto in tende e sopravvivono di pecore, yac e vendendo sale. L’operazione, come si dice, è andata in porto in breve tempo: l’ospedalino, dedicato a Fosco Maraini, è stato inaugurato il 7 giugno 1999. Nel 2004 ho avuto l’idea di realizzare a Skardu, in Pakistan, un piccolo museo destinato a ricordare nei secoli il successo degli alpinisti italiani sul K2, il 31 luglio 1954, e le presenze precedenti e successive. L’iniziativa, accolta subito con favore dal Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, dal Ministro Gianni Alemanno e dal presidente dei parlamentari italiani della montagna Gianantonio Arnoldi, è stata realizzata e il museo è stato inaugurato il 2 agosto alla presenza anche di alte autorità del Pakistan”. Uno come te è riuscito a portare la neve nel cuore di Milano: “ti riferisci a “Milano Montagna 2000”, l’idea di celebrare il mito e la storia dei monti, in concomitanza con l’arrivo del terzo millennio: un successo! Sono state allestite due mostre, una di oggettistica e fotografia e l’altra di pittura, aperte dall’ottobre 1999 al marzo 2000. La proposta è stata subito accolta dalla Regione Lombardia, dal Club Alpino Italiano, dalla Federazione Italiana Sport Invernali e da alcune importanti aziende. Momento massimo è stato il raduno, a Milano, di 100 protagonisti, uomini e donne, che più di altri hanno inciso sulla storia dei monti di questo secolo, alpinisti, sciatori, esploratori giunti da tutti i continenti”. Impegni a valanga e riconoscimenti: “nel 2001 il Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, mi ha insignito del Collare di Commendatore della Repubblica; l’anno dopo il Comitato della Comunità Walser di Macugnaga, in Piemonte, mi ha assegnato la prestigiosa Insegna di San Bernardo, premio che viene dato a uomini che abbiano operato con amore e successo per la montagna, la sua gente e lo sport: nell’occasione fui ufficialmente definito “Decathleta della Vita”. Nel 2003, l’Associazione Alvise Cornaro, che si occupa di problemi degli anziani, mi ha conferito l’omonimo premio assieme all’attrice Gina Lollobrigida ed al professor Zichichi, con la seguente motivazione: “la biografia di Rolly Marchi è piena di amori: il giornalismo, la scrittura, la montagna, la neve e specialmente idee e progetti sempre innovativi, sul terreno della competizione agonistica, ma anche su quello della solidarietà. La sua sensibilità e l’apertura verso gli altri non sono mai state motivo di vanto; piuttosto sono sempre state e lo sono tuttora, la semplice espressione di una salute piena, fisica e mentale, che non ha età. E il fuoco e il desiderio di fare cose nuove sono immutabili: oggi come ieri. Le “sue passioni” non sono né giovani né vecchie, né sentono il segno del tempo, ma sono una continua testimonianza di ardente vitalità alle giovani generazioni>>”. Neve per dimenticare? “Ho avuto molti sogni nella giovinezza e uno si è rinnovato ancor più forte nel dopoguerra, il tempo delle grandi libertà, una vacanza a St. Anton, paese austriaco dell’Alberg, famoso per le sue piste da sci. Sciare era stato parte della vita, avevo partecipato a gare con la volontà di diventare un campione, il coraggio non mi mancava. Avevo ottenuto qualche buon risultato e in un giorno di vento e con pista ghiacciata mi ero distinto nella lunga e difficile discesa della Paganella: in quegli anni si sciava con i pantaloni alla zuava di colore blu, larghi fin sotto il ginocchio dove erano stretti da un elastico. Ma la moda cambiò repentinamente quando i giornali diffusero la fotografia di uno sciatore alto e bruno, con i capelli ondulati e sopracciglia folti, bocca ampia e sensuale, un maglione scuro che aveva sul petto un distintivo formato da un cerchio e due sci incrociati…”. Lo sci dei tempi epici, quelli del nostro amico. Rolly Marchi da sempre è “il cow-boy delle nevi”, per il cappellone nero impostogli da Walt Disney ai Giochi Olimpici di Squaw Valley nel 1960. Vive a Milano e quando può a Cortina d’Ampezzo, sua seconda dimora, perla delle dolomiti che lo ha visto protagonista della mondanità dell’ultimo quarantennio: non trascura Trento che “è nel sangue”. E’ sposato con Graziella, affermata pittrice e ha due figli, Paolo, giornalista, e Jacopo, dirigente d’azienda. Gli dedico con tutto il mio affetto questa chiaccherata “fuori stagione” -io che amo la montagna e la neve e conosco le sue Dolomiti- che spero allieterà ancor di più il suo ottantaseiesimo compleanno. Auguri dalla Calabria, caro Rolly! Già, noi abbiamo la Sila: avessimo avuto monumenti come Rolly Marchi… 

La Provincia Cosentina
Egidio Lorito, 20-05-2007