Il bosco italiano: folclore, natura, tradizioni e itinerari di Lorenza Russo

Sul Pollino con i pini loricati - Fierezza secolare
C'è un area posta al confine di Basilicata e Calabria che da due decenni è rapidamente salita agli onori della cronaca nazionale per l'indubbio valore paesaggistico del suo territorio. Risale al 16 aprile del 1991 la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Decreto istitutivo del Parco Nazionale del Pollino, area protetta di grande fascino che comprende 34 comuni calabresi e 24 comuni lucani. Su una superficie di poco inferiore ai 200.000 ettari, che ne fa la più grande area protetta d'Italia e una tra le prime d'Europa, il Parco Nazionale del Pollino realizza un'antica aspirazione di questo territorio, votato alla tutela e alla valorizzazione dell'ambiente, capace di passare, nel giro di pochi chilometri, dalle plaghe assolate del Mediterraneo, grazie alle coste tirreniche a ovest e ioniche a est, sino alle imponenti vette che, ben al di sopra dei 2.000 metri, segnano le cime dell'intero Appennino meridionale.

Si fa risalire al glottologo Geraid Rohlfs l'etimologia più accreditata, secondo cui "Pollino" deriverebbe da "Apollo", dio latino del sole e della bellezza. Un irreale nodo orografico sospeso tra fantasia e realtà e tra due regioni, la Calabria e la Basilicata, fa del Pollino un unicum nell'intero paesaggio italiano, con caratteristiche ora tipicamente alpine, ora più spiccatamente dolomitiche, ora più semplicemente appenniniche, in cui si fondono colori montani e sfumature marine. E c'è un albero che si è meritato il ruolo di simbolo di questo Parco Nazionale: un segno della natura che da oltre un secolo stimola la ricerca scientifica e ispira alla poesia. Si tratta di un vero e proprio relitto della storia, approdato sin qui dalla regione balcanica nel corso dell'ultima glaciazione: durante i periodi glaciali più freddi, il livello dei mari si abbassava di molte decine di metri, l'Adriatico si restringeva notevolmente all'altezza del Gargano e la sponda pugliese e quella balcanica diventavano più vicine. Così l'albero si è adattato a climi non del tutto differenti, quelli delle roventi estati mediterranee e quelli dei rigidi inverni continentali. Un patriarca vegetale la cui storia inizia nella notte dei tempi e la cui fierezza secolare accompagna l'escursionista.
L'itinerario proposto è il più classico e frequentato del Parco e conduce nel cuore dell'area protetta da dove, volendo, si può proseguire per raggiungere le cinque vette principali del massiccio, tutte al di sopra dei 2.000 metri: Serra di Crispo, Serra del Prete, Serra delle Ciavole, Monte Pollino e Serra "Dolcedorme, il toponimo più fiabesco di tutto l'Appennino.
Dal casello di Campo Tenese sulla Salerno-Reggio Calabria si seguono le indicazioni per il comune di Rotonda e poi, a destra, per il Piano di Ruggio. La strada sale al Rifugio De Gasperi (1.550 m), una delle prime basi di partenza sorte sul massiccio, e qui (dopo 4,5 km) si lascia l'auto, in corrispondenza di una curva da dove, sulla destra, si snoda una strada forestale. La località si chiama Colle dell'Impiso (1.573 m) il cui nome evoca accadimenti legati al periodo del brigantaggio ("impiso" significa, infatti, "impiccato").
Qui inizia il percorso a piedi. Si scende su una mulattiera ai Piani del Vacquaro ("mandriano"), poi si prosegue diritti nella faggeta, paralleli al torrente Frido di cui si risale il corso. In breve si raggiunge la bellissima radura di Piano di Rummo, pianeggiante e punteggiata di faggi secolari. Percorso un breve sentiero, si riprende il cammino sulla mulattiera, a mezzacosta, tenendo il torrente alla nostra sinistra. Uno strappo in salita porta fuori dal bosco ed esce sulle praterie di Piano Toscano (1.800 m) sui Piani del Pollino.
Con percorso libero, fuori dal bosco, si sale in dirczione del centro del piano: il Monte Pollino è alla nostra destra, mentre la Serra delle Ciavole, ricoperta di pini loricati morti, ma ancora eretti, è di fronte a noi. Un nucleo di pini loricati maestosi, con la chioma a bandiera orientata secondo i venti gelidi e freddi che spirano in zona, impone una sosta contemplativa. Dopo essere montati sul gradino roccioso alle loro spalle, si cammina su pascoli meno ripidi, quasi ai piedi della Serra delle Ciavole. In breve si raggiunge la Grande Porta del Pollino e lo scheletro bianco dell'immenso esemplare bruciato dai vandali il 19 ottobre del 1993, in segno di spregio verso il giovanissimo Parco Nazionale che, proprio allora, festeggiava i primi anni di vita.
Proseguendo in falsopiano si raggiungono pini loricati dalle forme contorte, di grandi dimensioni e non minor fascino. L'escursione può finire qui, a quota 1.960, in quel luogo magico che un attento conoscitore come Giorgio Braschi ha poeticamente definito "giardino degli dèi", ma la vetta della Serra di Crispo richiede solo una mezz'ora di cammino libero, ma intuitivo, e solo cento metri di dislivello in più.

Zona orografica: Appennino calabro-lucano.
Regioni: Basilicata e Calabria.
Casello autostradale: Campo Tenese (A3).
Tipo di escursione: E.
Punti d'appoggio: Rifugio Fasanelli 0973667304 (Loc. Pedarreto, Rotonda 85048 PZ); www.rifugiofasanelli.it.
Cartografia: I.G.M. 1:50.000: Castrovillari oppure la Carta 'Turistica "Parco Nazionale del Pollino: il cuore del parco", disegno di G. Braschi.
Dislivello totale: 400 m.
Segnaletica: nessuna.
Stagioni consigliate: primavera e autunno.
(Itinerario a cura di Egidio Lorito, giornalista e scrittore calabro-lucano).