Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2009, pagg. 88, €. 10,00

“Pensare ad una strategia didattica di prevenzione dell’illegalità e della criminalità in difesa della democrazia richiede una riflessione preliminare sullo status attuale della nostra democrazia, per cui diventa necessario porsi, anzitutto, qualche domanda sul sistema democratico e sull’istituzione Stato in Italia. Dipenderanno, ovviamente, dal grado di democraticità delle nostre istituzioni e della nostra società, in generale, le strategie educative e didattiche che sarà necessario sviluppare per affrontare le possibilità di prevenzione dell’illegalità e della criminalità organizzata come richiesto dal tema qui oggetto di riflessione”.

Michele Borrelli, Ordinario di Pedagogia Generale presso l’Università della Calabria, si è formato filosoficamente e pedagogicamente in Germania, all’Università di Gissen, dove ha conseguito, tra l’altro, i titoli accademici di Magister Artium e di Doktor Philosophie; ha insegnato negli Atenei di Gissen, Frankfurt a.M., Wuppertal e Nurberg, prima di trasferirsi definitivamente in Calabria, sua terra natale: nella sua imponente bibliografia si incontrano testi che spaziano dalla ermeneutica trascendentale alla fondazione della filosofia e della scienza, dalla pedagogia europea a quella italiana, sino all’analisi del pensiero di Karl Otto Apel -uno dei grandi della filosofia mondiale- cui ha dedicato l’omonimo Centro Filosofico Internazionale ed il Premio Internazionale per la Filosofia che hanno nella natìa Acquappesa sede della loro articolata attività.   
Allarmante la crisi della democrazia in Italia per l’autore: “non è questione recente, dovuta solo al venire meno, in questi ultimi anni, del ruolo delle istituzioni, all’impossibilità formale e sostanziale di poter partecipare al sistema democratico essenzialmente così come premesso nella carta costituzionale e per com’è venuto formandosi nei sessant’anni della sua esistenza, alla mancanza di credibilità dei partiti politici e, in conseguenza di tutto ciò, alla sfiducia dei cittadini nella politica in generale e nella forma della politica democratica in particolare”.
Parla di “silenzio storico” per sottolineare la complessa crisi che avvolge la nostra democrazia, che ne incrina le basi e ne mette in pericolo la sua stessa esistenza: “diversamente dai Paesi nei quali l’esperienza democratica poteva e può vantare una tradizione consolidata e dov’è stato ed è più facile identificarsi con l’istituzione che definiamo Stato, la democrazia italiana è al suo primo e debole esperimento, condannato a fallire non solo e non tanto per il fatto che in Italia sembra quasi un diritto, se non un bisogno <<biologico>> porsi contro lo Stato, ma anche e soprattutto perché siamo lontani non solo dall’identificarci con l’interesse pubblico, ma riteniamo addirittura un nostro diritto, se non un obbligo, pensare la cosa pubblica da una prospettiva privata”.
Grazie alla sua formazione tedesca, Borrelli pone un sorprendente parallelismo tra la storia costituzionale italiana e quella tedesca, nel senso di rifarsi direttamente alla “teoria dell’educazione politica”, preliminare ad ogni impegno politico: e non può non ricordare il suo Maestro Kurt Gerhard Fischer (1928-1999), studioso di pedagogia, filosofia, psicologia, e scienze sociali, autore nel 1973 di un testo fondamentale per l’analisi che Borrelli fa dell’Italia (e della Calabria) di oggi. Infatti, ne “L’educazione politica nella Germania Federale. Un’introduzione alla didattica politica”, il filosofo di Lipsia dava un’importanza fondamentale proprio alla cultura civica, intesa come conoscenza delle istituzioni, per cui “l’insegnamento politico ha come fine la prestrutturazione psichica, in ogni uomo inteso come cittadino normale, di disposizioni all’attività, delle quali ognuno possa disporre liberamente per prendere delle decisioni, sia caso per caso, sia in linea di principio come homo politicus e per riconoscere e sopportare le conseguenze della propria decisione”.
E che dire della Calabria? Non è un caso se negli ultimissimi anni Borrelli si sia avvicinato al tema dell’analisi del fenomeno mafioso in Calabria, grazie alla collaborazione con un magistrato del calibro di Nicola Gratteri e di uno studioso del fenomeno quale Antonio Nicaso: da questa collaborazione è nato nel 2008 un fortunato libro -“Il grande inganno. I falsi valori della ‘ndrangheta- dal quale la riflessione si fa serrata: “solamente la ‘ndrangheta dispone di un esercito di seimila affiliati, distribuiti nelle 131 cosche attive sul territorio, con la media di un affiliato ogni 345 abitanti: la ‘ndrangheta è una grande holding economico criminale che mantiene, come tratto costante, il controllo maniacale, quasi ossessivo, del territorio e delle strutture sociali ed economiche. Ciò avviene con una forte capacità di penetrazione negli appalti pubblici, negli investimenti dell’edilizia e nella stessa amministrazione pubblica”.

Il Tetto. n. 275 Anno LXVII – Gennaio-Febbraio  2010                              Egidio Lorito