Con dieci ergastoli ai capiclan la ‘ndrangheta abbassa la cresta
Fatta chiarezza sulle attività illegali e su decine di omicidi compiuti da otto cosche.
Il procuratore generale di Catanzaro, Lupacchini: “I cavalli vincenti si vedono all’arrivo”

Con la conferma delle tredici pesanti condanne (tra esse ben dieci ergastoli) ad altrettanti capicosca del Tirreno cosentino ad opera della Corte d’Assise di appello di Catanzaro (Presidente Loredana De Franco, a latere Caterina Capitò), si è concluso il secondo grado del processo “Tela del Ragno”, relativo all’omonima inchiesta che nel 2012 portò alla luce le azioni criminali di ben otto clan di ‘ndrangheta attivi lungo la costa tirrenica cosentina. Numerosi omicidi vennero subito inquadrati dagli inquirenti in una vera guerra per il controllo militare della costa tirrenica calabrese, ricadente nella provincia di Cosenza, e che si era scatenata tra il clan definito Serpa-Tundis-Bruni, capeggiato da Nella Serpa, passata alle cronache giudiziarie come “Nella la bionda”, prima donna a capo di un clan di ‘ndrangheta, già condannata in via definitiva a 18 anni di reclusione e oggi all’ergastolo per gli omicidi dalla stessa ordinati, organizzati e diretti, ed il gruppo rivale detto Martello-Scofano-Ditto.

Tra le vittime numerosi esponenti dei due sodalizi criminali, oltre a innocenti del tutto estranei allo scontro, come accadde nel caso dello sfortunato Tonino Maiorano, ucciso nel luglio del 2004 a Paola, vittima di un clamoroso scambio di persona. All’alba del 30 marzo del 2012 cinquantotto esponenti di spicco della criminalità locale vennero arrestati dai carabinieri del Comando provinciale di Cosenza in collaborazione con il Ros e il nucleo Cacciatori di Vibo Valentia, coordinati dall’allora Sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Eugenio Facciolla: l’inchiesta faceva finalmente luce sulle attività criminali degli otto clan mafiosi operanti lungo il litorale tirrenico cosentino che si erano resi protagonisti di decine di omicidi, attentati e casi di “lupara bianca” tra il 2000 ed il 2008, allorquando popolosi centri turistici dell’area, quali Paola, Amantea e San Lucido, erano divenuti terreno di scontro dei diversi gruppi criminali. Per tutti gli arrestati, ai quali si aggiunsero altre 190 persone indagate a piede libero, l’accusa fu di associazione mafiosa, omicidio, tentato omicidio, porto abusivo di armi da fuoco, materiale esplodente, estorsioni e usura, e gli investigatori riuscirono a ricostruire decine di delitti e casi di “lupara bianca” che avevano insanguinato un intero territorio provinciale sin dagli anni ’70. L’inchiesta riuscì a fare luce anche sulla clamorosa “pax mafiosa” raggiunta dai numerosi clan cosentini, uniti in fronte comune per infiltrarsi negli appalti pubblici nei territori di competenza. Ora la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ha condannato Giovanni Abruzzese, Vincenzo Dedato, Valerio Salvatore Crivello, Gennaro Ditto, Giancarlo Gravina, Giuseppe Lo Piano, Mario Martello, Umile Miceli, Fabrizio Poddighe, Mario Mazza, Giuliano Serpa, Nella Serpa e Francesco Tundis e mandato assolto il solo Guido Giannino. “I cavalli vincenti si vedono all’arrivo e non alla partenza: non ci si può crogiolare sugli allori all’inizio delle indagini, ma oggi, dopo due gradi di giudizio, possiamo dire che la bontà dell’indagine è stata confermata”, ha dichiarato il Procuratore generale di Catanzaro, Otello Lupacchini, che ha aggiunto come nel caso di “Tela del Ragno” “si sia trattato di indagini cominciate dieci anni fa e che oggi sono arrivate a una seconda condanna nel merito. Vedremo in Cassazione se il giudizio resterà confermato”. Lupacchini ha inteso “ringraziare i magistrati che si sono occupati di queste indagini” i pubblici ministeri Eugenio Facciolla, oggi procuratore capo a Castrovillari, Pierpaolo Bruni, a capo della Procura di Paola, città che per lunghi anni aveva respirato l’aria pesante di omicidi, attentati e sparizioni misteriose, e lo stesso Antonino Iannotta, Sostituto procuratore a Castrovillari ed applicato dal Procuratore generale Lupacchini alla Procura Generale di Catanzaro, che ha sostenuto l’accusa in dibattimento. Con questa sentenza si chiude un decennio di oppressione mafiosa lungo il tirreno cosentino, area strategica per l’industria turistica calabrese.

Egidio Lorito “Libero” / Attualità                                                12/03/2019