Anno IX - n°28-29

Dedico queste riflessioni
alla cara memoria di Rolando “Rolly” Marchi (1921-2013),
scrittore, giornalista, “papà” del Trofeo Topolino, “cuore trentino”,  
la cui “Buona Neve” continua a posarsi sulle mie montagne…   

Ne sono intimamente convinto: tutti coloro che amano la montagna o il mare nutrono il sogno nascosto di imbattersi, prima o poi, nei magici abitatori che popolerebbero i luoghi più reconditi di boschi e foreste o quelli più profondi degli abissi marini. E’ una certezza che si è rafforzata in me leggendo le storie, i racconti o le semplici impressioni di chi, di “montagna” o di “mare”, ha scritto per passione o per professione, andando alla continua ricerca del sentiero più sconosciuto come della rotta più esaltante, per conoscere un altro tipo di via: quella interiore, spirituale, intima, privata, che possiamo conoscere appieno grazie a “quel viaggio di scoperta eternamente in fieri, quella lunga avventura per valli, crinali, gole, foreste, pareti di roccia, grotte, (che) non hanno soltanto una dimensione geografica, ma anche un orizzonte  interiore” (1 .

La dimensione del “camminare” acquista così il significato di una continua ricerca non solo geo-fisica, ma soprattutto mentale, spirituale: un continuo concentrarsi nello scoprire spazi dove far scorrere lo sguardo unitamente alla fantasia e all’immaginazione, gustando panorami affascinanti nei quali rispecchiarsi, ricercando sé stessi oltre che il fascino della natura, riscoprendo il vero significato della vita oltre che ammirare un tramonto, un’alba, una cima candidamente innevata, un tratto di mare dall’azzurro incontaminato. Grazie a questo particolare “modus explorandi”, intere generazioni di viaggiatori, attirati dalla loro commovente bellezza, si saranno certamente avvicinati ad ogni sorta di elevazione, come a plaghe e spiagge assolate,  in un continuo rincorrersi di natura, tradizioni, storia: ed è proprio in questi angoli di paesaggio che ognuno di noi dovrebbe ricercare Elfi e Sirene, e considerarli non soltanto personaggi fantastici, ma guide reali nel nostro “viaggio di ricerca”.
A far scattare la scintilla per questo tipo di ragionamenti è stata la lettura, anni orsono, di un elzeviro di Dino Buzzati, pubblicato il 14 ottobre del 1948 sulle pagine del Corriere della Sera, in cui lo scrittore e giornalista bellunese dava il proprio personale suggerimento a tutti coloro che si avvicinavano alla conquista di una vetta: “Hanno obbedito alla montagna” -questo il titolo- vede l’autore impegnato a sostenere “innanzitutto la necessità di uscire da una visione ottocentesca, da anima bella, per cercare una soluzione efficace e alta della passione per la montagna (...). Per Buzzati la molla psicologica che porta l’uomo a salire le vette o scendere i pendii è la forte, naturale attrazione per l’immobilità e la ripidezza” (2 .

Immobilità e ripidezza, dunque: due concetti ben cari a tutti gli escursionisti, i “trekker” ed i paesaggisti in genere, alla continua ricerca del punto più alto e ripido da cui osservare la vastità circostante in attesa della discesa a valle, discesa che non è solo movimento fisico di distacco dalla sommità appena raggiunta, ma momento di transizione in attesa dell’ascesa verso la prossima vetta.
“L’immobilità” riesce a far esplodere nell’uomo un senso di forte tranquillità che Buzzati mirabilmente spiega quando si chiede “a che si affanna l’uomo, giorno e notte, a quale scopo lavora, accumula soldi, persegue fama e potenza, se non per poter un giorno essere completamente libero da ogni soggezione e,  quindi, riposare? (...) Si, l’uomo tende inconsciamente a conquistare la quiete. Proprio per ciò la vista delle montagne, modello perfetto dello stato di quiete a cui egli tende, procura un senso di appagamento. Non solo, sorge nell’uomo il confuso desiderio di aderire, di adeguarsi, di identificarsi in un certo modo a tanta immobilità, di prenderne infine possesso” (3 .

Ma è soprattutto nel concetto di “ripidezza” che il camminatore tra i monti riesce forse meglio a cogliere un sentimento di fascino, proprio perché amplifica la lontananza e quel “senso di mistero” che la montagna riesce per incanto a regalare grazie all’immensa “carica di solitudine: c’è un gioco molto più fantastico di luci e di suoni. E c’è l’incanto della intimità, lo stesso che si assapora in parete, su per i grandi camini e diedri, (...) gli aerei baldacchini assumono un’espressione umana. Si direbbe che qualcuno ci aspetti, che ci spii tra le rocce. Ogni angolo, cavità, anfratto, sembra invitarci a restare, promettendo misteriose beatitudini. Nei canaloni, non sulle pareti o sulle creste, vivono gli elfi, gli gnomi, gli antichi spiriti della montagna” (4 .

Il lettore mi ricorderà, a questo punto, che a parlare era nientemeno che Buzzati, lo scrittore-alpinista “fulminato” dalle sue Dolomiti, che alla passione per i monti ha dedicato capolavori come “Barnabo delle Montagne”! Sarà anche vero, ed in sua compagnia Guido Gozzano, Thomas Mann, Ernest Hemingway, Hermann Hesse,  Massimo Mila, Vladimir Nabokov, Mario Soldati, Goffredo Parise, Mario Rigoni Stern, Scipio Slapater, Guido Piovene, Giorgio Bocca, Rolly Marchi -il mio indimenticabile amico Rolly!-  hanno contribuito ad immortalare le stupende elevazioni alpine, tra poesia ed escursionismo. Tutto vero, tutto indiscutibilmente vero! Ma anche i mediterranei Appennini, soprattutto quelli della parte più meridionale d’Italia -che mi vedono loro testimone affascinato- pur nell’assoluta diversità strutturale, riescono a regalare sensazioni e stati d’animo di eguale spessore emotivo, sempre tra poesia ed escursionismo. Rileggendo alcune tra le più note pagine della letteratura contemporanea, non dovrebbe essere impossibile imbattersi, allora, ne “i monachicchi, esseri piccolissimi, allegri, aerei (che) corrono veloci qua e là, e il loro maggior piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetto; (…) ma sono innocenti(…), il loro carattere è una saltellante e gioiosa bizzarria, e sono quasi inafferrabili. Portano in capo un cappuccio rosso, più grande di loro; e guai se lo perdono: tutta la loro allegria sparisce (…)” (5 .

Carlo Levi, autore dell’impareggiabile “Cristo si è fermato ad Eboli” si confrontava con il paesaggio della Basilicata orientale -che tutto è tranne che dolomitico…- grazie ad una forza narrativa leggera ed al contempo profonda, proprio laddove mirava al tema dell’uomo che sfrutta la propria forza creatrice come strumento per iniziare un viaggio da sogno.  
Francesco Bevilacqua, scrittore e paesaggista calabrese cui deve molto il processo di formazione del mio personale iter culturale “in fatto di montagne”, da alcuni anni conduce una singolare ricerca del “Genius Loci”, ovvero “(…) lo spirito, il nume tutelare del luogo. Ciascun luogo, dunque, si trattasse di una fonte, un fiume, un bosco, un’altura, aveva un’identità secondaria che lo proteggeva e lo tutelava (…)” (6.

Bevilacqua, che di professione fa l’avvocato ma per passione quarantennale esplora e descrive gli ambiti più reconditi del paesaggio della Calabria -che è anche la mia…-  da anni conduce letteralmente per mano la sua crescente schiera di lettori tra cime, vette, declivi, pascoli d’alta quota, sentieri, boschi dal Pollino all’Aspromonte, passando per la Sila, quel “Gran bosco d’Italia” che pare essere un concentrato di spiritelli e personaggi fiabeschi, pronti a far capolino nelle immense distese innevate, ai piedi di foreste di pino laricio, superbo esempio di vegetazione calabrese. E proprio dalla Calabria, Bevilacqua rimanda direttamente a Buzzati, sottolineando che “(…) in Italia, che io sappia, esiste solo un sorprendente esempio di storia narrata in un libro che abbia per protagonisti dei personaggi del tutto simili ai nostri spiriti dei luoghi: la storia è quella de “Il segreto del Bosco Vecchio” di Dino Buzzati (…). Il libro è una pura invenzione che affonda le sue radici nel mito della foresta sacra. E’ il concetto romano di “lucus”, luogo d’elezione per rinvenire quell’aura di numinosità, di sacralità (…)” (7 .        

Insomma, c’è la sforzo di andare alla scoperta di una sorta di presenza mistica di un luogo, di un suo guardiano, di un suo testimone muto -oggi diremmo di un testimonial…- che nella tradizione classica si è strasformato nella definizione dell’identità del luogo stesso. Chiarisce ancora Bevilacqua che “(…) quando oggi si parla di Genius Loci, si ignora, generalmente, il significato originario di questa strana ed affascinante locuzione. Essa viene per lo più usata da architetti e, in particolare architetti paesaggisti, come una metafora per definire l’identità di un luogo (…). E, soprattutto, resta il dubbio se il Genius Loci, che rappresentava originariamente una divinità, possa ancora trovare posto nella nostra società desacralizzata (…)” (8.      

Montagna e bosco-foresta diventano a questo punto, seguendo uno schema narrativo ormai noto a tutti coloro che frequentano le elevazioni terrestri, un binomio di assoluto pregio intellettuale, nel quale riflettere non soltanto l’idea fisica del “camminare” quanto quella più intima ed esistenziale dell’ “esplorare”, pur se dai piani da sempre diversi: “a differenza di quanto accade per la montagna, che è spazio divino precluso all’uomo, nelle fiabe e nelle leggende l’ingresso nel bosco dell’uomo è reale e possibile e costituisce un tema essenziale della narrativa fantastica (…)” (9 .  

Ne è convita Lorenza Russo, giornalista e scrittrice attenta al tema del rapporto uomo-bosco, soprattutto quando ricorda la figura romana di un vero e proprio “arbiter umbrae”, di un signore dell’ombra che secondo la mitologia classica aveva il compito di proteggere i boschi. Figura che ha attraversato i secoli sino ad evidenziare che “(…) il bosco è sacro, ma non è l’aldilà, la sua dimensione è la stessa dell’uomo e le presenze numinose che lo abitano non sono signori della vita e della morte, ma numi tutelari di un mondo vegetale, quello della natura incontaminata soggetta al ciclo eterno del divenire, che include anche l’uomo (…)”.  (10    

Dunque, l’idea di uno spirito protettore dei luoghi -di un luogo ben preciso…- corre lungo la storia, dalla notte dei tempi fin dentro ai giorni nostri, quasi a voler indicare che la via tracciata dalla parabola umana non possa assolutamente prescindere dal costante richiamo ad una divinità, ad un essere fantastico, custode del nostro ambiente. Un essere che spesso non disdegna di far capolino tra gli alti fusti, il fogliame, le ramificazioni… Un custode, appunto!      

Allora, in un messaggio ecumenico, ci si trovi all’ombra dei celeberrimi picchi dolomitici, come in cima ai mediterranei Appennini che impreziosiscono la cultura geo-culturale di regioni come la Calabria e la Basilicata -ahimè ancora poco note al grande pubblico…- risulta quanto mai evidente che ciò che conta non sia la collocazione geografica, ma il particolare “sentire” e “ricercare” (Sehnsucht) in natura. Sensibilità che inevitabilmente ci regala le stesse sensazioni, sulle Tofàne come ai piedi degli imponenti esemplari di pino laricio della Sila o dei pini loricati del Pollino! Così come, alla fine, non occorrerà  navigare lungo  mari esotici  per imbattersi nelle mitiche “sirene”: queste ultime sicuramente avranno attraversato lo Stretto di Messina, tra Jonio e Tirreno ben più volte di quanto si possa immaginare!

Difendiamoli i nostri monti! Proteggiamoli i nostri mari, perchè in essi sono racchiusi il nostro passato, presente e futuro in un rincorrersi continuo di ricordi ed aspirazioni, nella consapevolezza che ognuno di noi “percorrendo quei sentieri” e quelle rotte, sarà in grado di percepire sempre “una comunione di spiriti, un inspiegabile, intimo e segreto travaso d’anime” (11.

Note

 

  1. Bevilacqua F., Il Parco Nazionale della Sila. Guida naturalistica ed escursionistica, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Cz), 1999, p. 14;

  2. Borgo L., Scritture di neve. Cent’anni di sci, di letteratura, di Dolomite. Tipolitografia Danzo, Cornedo, (Vc), 1997, p. 106;

  3. Buzzati D., Hanno obbedito alla montagna, Corriere della Sera, Milano, 14/10/1948, in Borgo L. op. ult. cit. p. 107;

  4. Buzzati D., op. ult. cit. p. 110;

  5. Levi C., Cristo si è fermato ad Eboli, Einaudi, Torino, 1945   

  6. Bevilacqua F., Genius loci. Il dio dei luoghi perduti, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Cz), 2010, p. 12;

  7. Bevilacqua F., op. ult. cit., p. 65;

  8. Bevilacqua F., op. ult. cit. quarta di copertina;

  9. Russo L., Camminare nei boschi. Il bosco italiano: folclore, natura, tradizioni, itinerari, Hoepli, Milano 2012, p. 7;

  10. Russo L., op. cit. p. 7

  11. Bevilacqua F., Il Parco Nazionale della Sila. Guida naturalistica ed escursionistica. Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Cz), 1999, p. 14;

Torna su