A tu per tu con...

“Nel licenziare alla stampa il mio “Ritratto di Calabria. Uomini, evi ed eventi” (Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2001), ritenni di dedicare il mio lavoro, in particolare, ai giovani di Calabria, nell’auspicio che la memoria del passato e la lezione del presente suscitassero nei loro spiriti una nuova inquietudine, per una salutare provocazione o -meglio ancora- per una responsabile sfida (…)”. L’appuntamento di questa settimana, ha per me, un significato molto particolare: con quelle parole, Francesco Sisinni apriva la Prefazione al mio “Tracce di Calabria” (Il Coscile, 2005) e non era un caso se gli avevo chiesto di curarmi l’incipit a quella raccolta di articoli che cercavano di sondare il senso di una terra, di una storia, di una tradizione, di un paesaggio.

E avevo visto bene, perché quella sua autorevole apertura ha condizionato positivamente l’intero corpo dell’opera che io, molto modestamente, definisco come un “viaggio alla ricerca della Calabria del sogno perduto”, una riscoperta di una terra che oggi neppure lontanamente si avvicina a quella aulica che la millenaria tradizione storica ci ha consegnato. E ricordo la presentazione a Maratea, arricchita proprio da quella sua dotta prolusione innanzi ad una platea che poteva gustarsi, complice il mio libro, la “lectio magistralis” di uno dei più autorevoli estetologi contemporanei: un viaggio a ritroso nel tempo, andando a catturare i momenti più esaltanti della millenaria storia della nostra terra, tra origini e grecità, ellenismo e complesse stratificazione culturali successive. Con questa conversazione, ora, gli restituisco -sempre molto modestamente, s’intende- quella cortesia, quel gesto affettuoso -quasi paterno- carico di speranza per entrambi: e lo faccio nel giorno in cui la sua Maratea lo accoglierà per la presentazione della sua ultima fatica editoriale, Il cappotto del nonno (Iride Edizioni-Gruppo Rubbettino, 2006), appuntamento che -come per tutti quelli organizzati con competenza e classe nella ridente località della costa tirrenica lucana- non mancherà di attirare l’attenzione di critica e pubblico. Francesco Sisinni, docente di Filosofia presso la Lumsa di Roma -ateneo che lo vede attualmente dirigere il Master in Studi storico-artistici e di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e dell’ambiente- ha indissolubilmente legato il proprio nome e la propria attività professionale ai beni culturali: nel 1974, infatti, il Ministro Giovanni Spadolini lo chiamò a collaborare alla creazione del nascente Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, divenendo così il primo segretario generale del Consiglio Nazionale e poi Direttore Generale per circa vent’anni; cultore della lingua italiana e “Dantista”, fa parte degli esperti della “Lectura Dantis” Scaligera, Classense, Florentina e Romana ed è Consigliere Centrale della Società Dante Alighieri; è stato nominato da Papa Giovanni Paolo II membro della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa nel mondo. E’ socio di numerose Accademie ed istituti culturali nazionali ed internazionali, tra cui l’Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova, l’Accademia dei Georgofili di Firenze, il Centro Nazionale di Studi Manzoniani di Milano, l’Accademia Tiberina, l’Arcadia, la Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali, la Società Geografica Italiana di Roma e l’International Council of Monuments and Sities. Tra le sue innumerevoli pubblicazioni ricordo Storia sociale e parlamentare della scuola, I miei beni, In viaggio. Pellegrinaggi e giubilei del popolo di Dio, Alla festa di Olimpia. Storia del bello, dell’arte e della tutela, Riflessioni sulla bellezza, La bellezza venuta dal mare, Ritratto di Calabria. Uomini, evi ed eventi, L’arte ritrovata, Umanesimo Cateriniano, San Francesco, Pirandello: Arte è Vita, Pensiero politico di Nicolò Machiavelli, Attualità Benedettina, Le due culture. Rilevante anche l’attività di fondazione di riviste di settore quali Il Museo, Il Bollettino di Archeologia, Il Bollettino di Numismatica; senza dimenticare la direzione di Accademia e Biblioteche d’Italia e de Il Bollettino d’arte. Sisinni, proprio in virtù della sua specifica competenza tecnica, ha progettato e curato numerose edizioni de L’agenda europea del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, L’Agenda del Territorio Italia del Ministero dei Lavori Pubblici e L’Agenda Maratea, tutte edite dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Nè potevano mancare numerosi premi per la cultura, benemerenze ed onorificenze: fa parte degli Ordini Cavallereschi di Malta, del Santo Sepolcro, di San Giorgio, di San Gregorio ed è Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della Repubblica Italiana. Insomma, senza falsa modestia, credo di aver scelto la persona giusta per l’introduzione a quella mia pubblicazione, non foss’altro per una certa competenza in fatto di paesaggio, beni culturali e bellezza… Temi non proprio sconosciuti nella Calabria del mio libro. Tra le Tue innumerevoli pubblicazioni, almeno un paio sono oggetto di riflessione per le genti di Calabria: mi riferisco, in primo luogo a “Ritratto di Calabria”: “con quell’opera volevo offrire, anzitutto, un’occasione di nuova riflessione, auspicabilmente proficua, sulla realtà di una Regione la cui complessità si misura nella molteplicità e varietà delle sue peculiarità e vocazioni ma, anche, dei suoi remoti e recenti problemi e la cui profondità si scandaglia negli abissi di una civiltà antica che, tuttavia, non ha mai cessato di rinnovarsi. E’ vero, si è trattato di un rinnovamento a volte tardo ed appena percettibile, frammentario e discontinuo sia nell’intensità sia nella tensione: peraltro, non solo in Calabria ma in gran parte dell’Italia meridionale, lo svolgimento storico s’identifica, quasi sempre, in un viaggio lento, un andar piano che tuttavia risparmia a chi lo compie le alienazioni delle civiltà convulse, come i riti assurdi di dispotismi consumistici, paludati di tecnologia o, addirittura, di scienza. E non v’è dubbio che questa sorta di andar piano agevoli l’appropriazione spirituale del paesaggio e procuri spazi imprevedibili alla mente ed al cuore, ovvero alla speculazione ed alla creatività. Or è che se non v’è viaggio senza sosta, questo si fa salutare allorché non si consuma, indugiando sullo specchio d’acqua di Narciso, ma si fa circostanza di riflessione, di consuntivo e di provocazione, quasi pietra lanciata, proprio in quello specchio d’acqua, per capire nel gioco di quei cerchi centrifughi l’ansia innovativa che immagina e disegna nuovi profili ed orizzonti, sempre più decentrati e profondi. Mi chiedi delle nuove riflessioni sulla Calabria? Ebbene, si ripete da anni -ed a ragione- che in Italia e soprattutto in Calabria, natura e cultura sono le carte utili da giocare: sappiamo bene che il gioco può essere rischioso, quando si immette sul mercato degli affari, quasi fosse merce comune, quanto invece appartiene al mondo dei valori e perciò al profitto dello spirito. Ma qui le garanzie non mancano: le radici sono forti e questa terra non cessa di essere la patria della profezia gioachimita, come della poesia dell’Asperos, del bianco, e sappiamo parimenti bene che proprio per tali ragioni, qui, più che altrove, la valorizzazione del patrimonio fino alla promozione, anche economicamente proficua, non può non passare che nella responsabile tutela dello stesso. In Calabria, infatti, la Natura si fa un tutt’uno con la cultura ed entrambe -immedesimandosi l’una nell’altra- configurano quella complessa realtà territoriale che se da sempre è tormentata da fenomeni geosismici è anche , ininterrottamente, disegnata da eventi storici, tant’è che quanto oggi ci appare altro non è che il risultato delle vicende secolari ed umane”. In quella Tua ricca pubblicazione campeggiano spettacolari foto del paesaggio calabrese come immagini sacre, evidenze archeologiche e grandi strutture che la proiettano nel futuro… “Un territorio non solo morfologicamente vario da luogo a luogo, ove il paesaggio ubertoso mediterraneo confina e convive con quello arido, africano, ma anche complesso e mutevole da sponda a sponda, compreso com’è in un perimetro vasto e variegato, segnato da coste e spiagge che si succedono, quasi rincorrendosi, dal terminale del Golfo di Policastro al Golfo di Sant’Eufemia e da questo al Golfo di Gioia Tauro che si conclude a sud, protraendosi nel mare, in una sequenza di sorprese con la mitica Scilla, per risalire verso il Golfo di Squillace fino a quello di Taranto. E nel loro ambito, ecco l’omerica Costa Viola e poi del Bergamotto e del Gelsomino e dal Mar Tirreno -che ha ancora promesse per l’archeologia- al Mare Jonio che invece celebra, da tempo, la sua radiosa epifania di testimonianze. E dentro questa superba cornice, che si fa balcone ed approdo al mare di Ulisse e di Enea, le montagne -dal Pollino all’Aspromonte, alla Sila- i piani e gli altipiani e i valloni erosi dalle fiumare, le valli e le colline, ora aspre ed aride, ora variopinte di erbe e fiori, costituiscono uno scenario quasi sempre bello e sovente sublime, in cui si insinuano e si perdono i fiumi sfocianti nel Tirreno e nello Jonio”. Belle immagini, non c’è che dire! Ma Tu parli anche di una Calabria vittima di ogni sorta di aggressione ambientale! “Come negare che non sempre gli uomini sono stati i pazienti costruttori del proprio paesaggio o gli accorti ricercatori delle testimonianze della propria civiltà: anche la Calabria ha vissuto glia anni tragici dello scempio ambientale. Quelli compresi tra il 1950 ed il 1970 hanno registrato, da un canto, un rilevante deficit demografico, dovuto allo spopolamento di interi borghi per l’emigrazione al nord Italia e in Europa e, dall’altro, l’esplosione di benessere, spesso solo materiale ed effimero, che ha cercato di attestarsi in un frenetico costruire che non ha risparmiato persone le suggestive coste come le immacolate cime delle montagne ed i delicati bacini dei fiumi”. Purtroppo -glielo ricordo, anche se Sisinni non ha certo bisogno di suggerimenti- l’aggressione alla natura calabrese sembra non essersi mai fermata…Per fortuna c’è un’enorme tradizione storica cui attingere a piene mani: nel 2003 curasti la presentazione della Mostra internazionale di scultura contemporanea che, solo dal titolo -“La bellezza venuta dal mare”- evocava scenari di raro fascino: “presentando quell’avvenimento ed il relativo catalogo esplicativo, ripresi un tema a me molto caro, quello della bellezza, appunto. Com’è noto, la bellezza, dall’antica patria, venne a Roma dal mare e Roma la restituì al mondo attraverso il mare, il Mediterraneo; è noto che già dall’VIII secolo a.C., sulla scia dei mercanti dell’età minoica e micenea, erano giunti dalla Grecia sulle nostre sponde, artigiani e trafficanti che si erano stabiliti negli “emporia”: i greci, consolidata tale loro presenza, si diedero a costruire le poleis, destinate ad espandersi ed affermarsi economicamente e culturalmente. I coloni greci finirono col fondersi con le suddette comunità, dando origine a quella meravigliosa fioritura italiota che portò all’avvento di una classicità capace di competere per maturità e raffinatezza con la madre patria, ove i primi istoras avevano indicato al pensiero le vie della ricerca della verità, nell’amore della sapienza. In Grecia, i filosofi cercarono, innanzitutto, l’unità nella molteplicità, come principio d’ordine del mondo e di conoscenza dell’uomo; quindi, trasferirono la ricerca dell’unità dal mondo all’uomo, successivamente affinandola nella conoscenza dei rapporti tra l’uomo e l’essere, come soggetto e valore, tra l’uomo e l’uomo, come condotta di vita, tra l’uomo e Dio, come ascesi alla perfezione assoluta. Fu allora, dunque, che i greci videro quell’unità dell’essere nella bellezza che si identifica con la Verità ed il Bene. Era il tempo in cui Platone portava il Bello nella storia del pensiero e la divina arte di Fidia veniva assistita dalla saggezza politica di Pericle e dalla profezia profetica di Sofocle”. Ricordo ancora la presentazione de “Alla festa di Olimpia”, con Stefano Zecchi -peraltro già ospite di queste pagine- che Ti aveva curato l’introduzione: “Zecchi mi affiancò a Maratea nell’estate del 2001. Ma oltre che sulla sua presentazione, quella pubblicazione poteva contare sui contributi tecnici di Cosimo Ceccuti e Paolo Portoghesi. Un affascinante viaggio diviso in due parti: nella prima ripercorrevo l’intero itinerario storico del Bello e dell’Arte in Italia, seguendo un itinerario di pensiero e di opere che partiva dalle origini per giungere ai giorni nostri; nella seconda parte -a me molto familiare visto che per un ventennio me ne ero occupato da Direttore Generale del Ministero- ripercorrevo la storia della tutela ambientale ed artistica. L’intento non era né specialistico né totalmente tecnico, ma sostanzialmente propedeutico ad una consapevolezza del valore culturale del nostro patrimonio storico, artistico ed ambientale che merita sempre una costante tutela”. Ora Il cappotto del nonno, la Tua ultima pubblicazione: è un romanzo storico, vero?: “Sentimenti e vicende personali si mescolano ad accadimenti storici: il cappotto del nonno è il vecchio pastrano che custodisce un segreto, un manoscritto che il piccolo Francesco rinviene e che racconta la vita intensa di un avo, Giuseppe, vissuto tra Settecento ed Ottocento, tra l’Italia degli ideali napoleonici ed il Sud America di Bolivar. Con questo romanzo storico ripercorro il viaggio di un uomo alla scoperta di sé, alla ricerca di valori assoluti che coinvolge ed affascina ma, al contempo, invita anche a riflettere, perché reca con sé un messaggio sempre attuale. Dunque, una costruzione romanzata su un fatto accaduto nella realtà: il ritrovamento di un antico manoscritto familiare che fa da contorno alla vita ed al conflitto interiore di Giuseppe, un uomo sempre più lacerato tra il convento e la cattedra, tra sacerdozio e passione per una giovane donna per la quale abbandonerà la stessa Chiesa senza però mai allontanarsi da essa: neanche quando solcherà l’Oceano per approdare in Sud America. Lui, un uomo rimasto epidermicamente legato alla sua antica terra di Lucania, mai dimenticata. E’ un racconto di vita familiare denso di storie, sogni e riflessioni che si ritrovano tutte in un unico tassello, il tutto arricchito da preziosi riferimenti storici, utili perché riguardano da vicino il dramma -tutto meridionale- dell’emigrazione, del distacco dalla propria terra, dai propri affetti”.
La Provincia Cosentina
Egidio Lorito, 06-05-2007