“La famiglia di Richard Wright, fondatore dei Pink Floyd, annuncia con grande tristezza che Rick è morto oggi dopo una veloce battaglia contro il cancro: chiediamo che venga rispettata la nostra privacy in un momento così difficile”. Alle ore 20.00 dello scorso 15 settembre, le agenzie di tutti i continenti battevano questo scarno comunicato, perfettamente in linea con lo stile sobrio e riservato che questo “giovane” musicista aveva conservato per tutti i 44 anni di carriera nella più grande rock-band del mondo.

Nato nell’elegante quartiere londinese di Hatch-End il 28 luglio del 1943, “Rick” discendeva da un’agiata famiglia della borghesia londinese: studente di architettura al Politecnico di Regent Street, proprio sui banchi dell’università aveva conosciuto gli altri giovanissimi membri (Mason e Waters) di quello che, a metà degli effervescenti anni ’60, sarebbe stato il nucleo originario dell’innovativa band inglese. L’altra metà (Barret e Gilmour) sarebbe arrivata dalla nobile e raffinata Cambridge e mai incontro si sarebbe rivelato più prolifico dal punto di vista musicale e commerciale. Ci sono notizie che uno mai e poi mai vorrebbe sentire: soprattutto quando, poi, la professione giornalistica ti porta a stare letteralmente incollato alle agenzie-stampa, diventa quasi inevitabile che quella più brutta, prima o poi, ti arrivi. Ho scritto questo articolo praticamente di getto -triste- durante gli interminabili minuti successivi alla notizia, quando migliaia di e-mail invadevano la rete da ogni continente. Seguo le liriche e le costruzioni sonore di questo gruppo dall’estate del 1980, quando erano già all’apice del loro successo planetario: pensavo di non poterli mai più vedere dal vivo ed invece ho assistito ad una buona dose di loro concerti -letteralmente una delle esperienze più commoventi ed esaltanti della mia vita;posseggo tutta la loro poderosa discografia e videografia;ho avuto la fortuna di stringere le mani del loro percussionista. Ecco: sono “semplicemente” cresciuto con loro e se il mio inglese si mantiene sempre allenato, il merito è anche loro. Ora mi tocca scrivere -commosso- un articolo-necrologio su un sessantacinquenne ragazzo di Londra, che mai e poi mai aveva assunto l’aspetto della rock-star: pacato, timido, “quiet” da farne l’anti-rockstar per eccellenza. In occasione del concerto tenuto per il 26° anniversario dell’insurrezione ai cantieri di Danzica -guidata da un giovanissimo Lech Walesa- il Ministro della Cultura polacca disse che “per un ragazzo degli anni ’70, i Pink Floyd significavano la libertà”. Beh, Rich, quella libertà l’hai ora totalmente raggiunta: “shine on you…”
L’Eco di Basilicata, Anno VII n. 16/2008 01/10/2008
Egidio Lorito www.egidioloritocommunications.com