Saranno state le vicende politiche di questi ultimi mesi, con il terribile “effetto tritacarne” che ha letteralmente catalizzato l’attenzione di un pubblico sempre più attratto da storie morbose a sfondo erotico; sarà stata la generale decadenza di molti temi della vita pubblica, ridotti a questioni che un tempo avrebbero trovato ospitalità solo in determinate pubblicazioni di settore; sarà che sembra prevalere il gusto malsano di sbattere letteralmente tutto in prima pagina per il solo scopo di fare audience. Sarà per tutto questo ma anche per molto altro ancora, ma ritengo sinceramente che -a questo punto- una seria riflessione si imponga.

Davvero la “politica” può permettersi di continuare a dare questa immagine di sé, sensibilmente sempre più distante dalle vere problematiche sociali e sempre più attratta dalle performances sentimentali (uso il termine giustamente al ribasso…) di alcuni suoi attori? Davvero noi cittadini-elettori-utenti-spettatori dobbiamo continuare ad assistere, senza quasi nessuna possibilità di far sentire la nostra modesta voce, ad una programmazione televisiva che non di rado esonda nella volgarità, nell’assenza di contenuti, nella banalità, nell’incapacità reale di incidere nei bisogni e nelle problematiche della collettività? Non è tanto -o solo- un problema di appartenenza all’uno o all’altro schieramento politico: qui, il problema, è che molto di ciò che di ci viene propinato non è null’altro che lo specchio -purtroppo fedele- della nostra stessa società, i cui vizi apparenti sembrano sopraffare le tante virtù costrette a rimanere nell’ombra. Mi ritrovo tra le mani il bel libro -più che mai utile per le riflessioni in corso- di un intellettuale che ho avuto il piacere e l’onore di ospitare e presentare più volte nel corso di alcune conversazioni che mi “ostino” ad organizzare e moderare in questo angolo di territorio calabro-lucano: nel suo “L’uomo è ciò che guarda. Televisione e popolo” (Mondadori, 2005), Stefano Zecchi ricorda che “la televisione ha il potere di togliere dall’anonimato le persone e di consegnare nelle loro mani il successo. Ottima cosa, si può osservare. Ma, appunto, chi sono i premiati dalla televisione? Non mi sembra una questione irrilevante, vivendo in una società altamente competitiva in cui però le occasioni di lavoro sono scarse, i laureati faticano a trovare un impiego adeguato all’impegno degli studi intrapresi, i giovani studiosi di talento sono costretti a fare la valigia e andare all’estero per continuare con profitto le loro ricerche. (…) Ciò che sconcerta è il fatto che la televisione non premi la professionalità (…)”. Come non dare ragione all’estetologo milanese che nel capitolo dal titolo emblematico “Dal talk al reality al trash” consegna un’immagine imbarazzante non solo dell’attuale stagione televisiva, ma -ahinoi- di larga parte della società contemporanea: “(…) La società si sviluppa in base ai gradi di apprendimento professionale dei giovani: quanto più essi raggiungono un alto livello di professionalità spendibile sul mercato del lavoro, tanto più la loro posizione economica e l’intero contesto sociale migliorano. Questo è il principio elementare a cui purtroppo non corrisponde la realtà”. E la nostra società locale come sta?

L’Eco di Basilicata, Calabria, Campania - anno IX n. 23 – 15 dicembre  2009
Egidio Lorito - www.egidioloritocommunications.com