Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2010,  pp. 86  € 8,00

Le sue pubblicazioni rappresentano, da un ventennio, uno scrigno di segreti per gli occhi ed il cuore: è riuscito, come pochissimi, a rappresentare al meglio l’immenso patrimonio paesaggistico della Calabria, regalando al numeroso pubblico di lettori vere e proprie immagini in diretta dalla natura di questa estrema penisola della già affascinante Penisola italiana.

Solo partendo da questa premessa sarà possibile apprezzare la tematica ambientalista che Francesco Bevilacqua porta avanti da alcuni lustri: sinceramente, dopo aver ammirato le sontuose immagini di questa terra, tutte tratte dallo sterminato archivio personale dell’autore, dopo aver riflettuto sui pensieri dei tanti “viaggiatori” che dalla notte dei tempi hanno frequentato la Calabria, dopo aver metabolizzato l’ ”essere” e l’ “avere” di questo estremo lembo meridionale d’Italia, fino ad interiorizzarne ogni aspetto geografico come ogni problematica socio-culturale;dopo aver riflettuto a lungo sulla lunga tradizione storica che fa della Calabria la terra dove alcune delle più importanti civiltà della Storia si sono incontrate e scontrate;soltanto dopo questo e dopo molto altro ancora, il nostro autore può anche permettersi di giungere ad una sorta di “sintesi” interiore, alla ricerca del “genio dei luoghi”, dello spirito, del nume tutelare dei siti che ha attraversato e continua a fare con la competenza scientifica e culturale che la pubblicistica non può non riconoscergli. 

Francesco Bevilacqua vive e lavora in Calabria dove svolge la professione di avvocato civilista ed amministrativista: attivo nel volontariato ambientalista,  promotore in prima persona di azioni a tutela e denuncia in favore delle bellezze naturali della Calabria, è impegnato fattivamente per far conoscere la natura e il paesaggio di una delle più belle regioni del Mediterraneo. Il tutto, tradotto in scritti e fotografie per Airone, Bell’Italia, Alp, Oasis, Panorama, Rivista del Cai, Trekking, Ulisse, Quark, Dove, Gente Viaggi, Calabria, Paese Sera, Gazzetta del Sud e -soprattutto-  in 14 libri dedicati ai parchi, alle bellezze naturali, ai paesaggi della Calabria e -più in generale- al rapporto tra uomo e natura. 

Bevilacqua ci ha sempre raccontato, senza mai essere ripetitivo, una Calabria vista dall’osservatorio ampiamente privilegiato di chi la ricerca la conduce esclusivamente sul campo, tale da concedere alla sua opera omnia diverse ragioni basilari: innanzitutto i 28.000 chilometri a piedi che ha percorso negli ultimi 30 anni in Calabria;le avide letture di tutti i testi disponibili di viaggiatori, descrittori, e narratori, dal ‘500 ai nostri giorni, che ha accompagnato il suo peregrinare in natura;l’impegno di volontario ambientale profuso in tutti questi anni con il W.W.F., ma anche con Italia Nostra, con il Club Alpino Italiano, ed ancora con il Fondo per l’Ambiente Italiano, per impedire scempi, istituire parchi, proteggere luoghi di particolare interesse naturalistico e paesaggistico. Solo a questo punto si può comprendere la genesi di quest’ultimissima opera che non è il classico testo di ammirazione per il paesaggio calabrese che ha ormai sondato in tutte le sue pieghe. Questa volta, dall’alto di una fortissima presa di coscienza, Bevilacqua aggiunge un tocco magicamente “filosofico” ai suoi ragionamenti “in natura”, perché ,ormai, ama definirsi “cercatore di luoghi dimenticati”. Descrive il suo modo di viaggiare come “una forma di travaso tra la mia anima e l’anima dei luoghi”. Ed ha pure mezzi di trasporto prediletti -le gambe e l’istinto- affinati da questa trentennale frequentazione di monti e valli, coste assolate e corsi d’acqua di varia portata. “<<Nullus Locus sine Genio>>: questa frase di Servio (retore latino vissuto tra il IV ed il V secolo d.C.) tratta dal Commento all’Eneide (5, 95), risulterebbe incomprensibile alla maggior parte degli odierni lettori, salvo che a qualche specialista di mitologia latina. Eppure essa diceva ai suoi contemporanei una cosa che per loro era ovvia: <<nessun luogo è senza genio>>. Laddove per Genio s’intende lo spirito, il nume tutelare del luogo stesso. (…) Non esiste, infatti, nella nostra cultura, un’idea che coincida con quella del Genius Loci. Oltretutto, per la cultura latina il genio non l’avevano solo i luoghi, ma anche le persone. Il Genio, insomma, era il compagno soprannaturale di ciascuna anima (…)”. E così, partendo da questa semplice dichiarazione d’intenti, Francesco Bevilacqua ci guida, attraverso un’ottantina di godibilissime pagine, in un itinerario che questa volta non è solo spiccatamente paesaggistico-ambientale: non parla -il nostro moderno esploratore- soltanto di cime innevate, di orridi e strapiombi, di sterminate foreste nel cuore del Mediterraneo, di laghi e plaghe assolate. Non ci consegna l’ennesimo affresco scintillante della natura calabrese, che rimane pur sempre affascinante nella sua visione d’insieme. Questa volta, Bevilacqua supera la barriera del mondo poetico e filosofico, cercando di ritornare alle radici ed alle ragioni della sua stessa ricerca culturale. Li ha chiamati, Bevilacqua, tutti a raccolta i grandi pensatori dell’anima, legandoli intimamente anche alla natura calabrese: James Hillman, Mircea Eliade, Roberto Calasso, Heinrich Heine, Christian Norberg-Schultz, Eugenio Turri, Franco La Cecla, Rosario Assunto, Pierre Hadot, Raffaele Milani, Marc Augé, Paolo D’Angelo, Nuto Revelli, Enrico Camarani, Annibale Salsa, Remo Bodei, Vito Teti, Fernand Braudel, Maurice Aymard, Alain De Botton, Ralph Waldo, Vernon Lee, Attilio Brilli, Dino Buzzati, Robert Pogue Harrison, Carl Gustav Jung, Ezra Pound, Thomas Eliot, William Wordsworth, Rainer Maria Rilke, Pablo Neruda, Henry David Thorueau. Tramite ognuno di loro, Bevilacqua è riuscito -come d’altronde ci ha sempre abituato- a legare uno spicchio della natura di Calabria ad un pensiero, ad una riflessione sui luoghi perduti: “(…) Guardare oltre il velo vuol dire, insomma, cercare Dafne in un alloro, sentirsi nel mare come nel proprio Principio, lasciare che il proprio cuore danzi con le giunchiglie, morire per non dimenticar le stelle, ritenersi figlio del bosco cileno, accettare che il sole, al tramonto, posi un raggio di luce dorata sulla nostra spalla e ci conduca a casa”. Con un desiderio: anche nella tanto bistrattata Calabria…